La morte di Biagio Carabellò resta senza una spiegazione. Nonostante l’opposizione presentata dalla famiglia della vittima, il giudice per le indagini preliminari, Alberto Ziroldi, ha infatti deciso di archiviare l’inchiesta sulla sua scomparsa, come richiesto dalla pm Elena Caruso. Secondo gli inquirenti, è molto probabile che l’uomo, di cui furono ritrovati i resti nel 2021, si sia tolto la vita. Restano contrari i suoi familiari, che hanno sempre escluso la pista del gesto volontario, invitando tutti coloro che potrebbero aver visto o sentito qualcosa a farsi avanti.
Morte Biagio Carabellò: archiviate le indagini
Il “giallo della Bolognina”, come fu chiamato quello relativo alla scomparsa di Biagio Carabellò, ebbe inizio nel 2015, quando, all’età di 46 anni, l’operaio, originario di Bologna, fece perdere le sue tracce. Passarono sei anni, prima di poter assistere ad una svolta: nel 2021, nel corso di alcuni lavori in un’area dismessa del Parco Nord, dei resti umani furono trovati in un campo. Gli inquirenti non avevano dubbi: si trattava di lui. Anche perché vicino al corpo erano stati ritrovati anche dei documenti appartenenti alla vittima. Le indagini, a quel punto, entrarono nel vivo. E i familiari dell’operaio, fin da subito, si opposero all’ipotesi di un gesto volontario, sostenendo che il 46enne stesse facendo dei progetti e non avesse quindi mostrato alcuna intenzione di voler togliersi la vita.
Puntarono il dito, in particolare, contro due persone: un’amica dell’uomo, Simona Volpe, e il suo ex coinquilino, un certo Athos Scaramuzza. La prima era sospettata perché, qualche anno prima, nel 2010, aveva ereditato il patrimonio della compagna benestante di Biagio, morta di malattia – grazie a un testamento che, in seguito, si rivelò falso, portandola alla condanna -; il secondo perché, più volte, aveva minacciato l’ex compagna dicendole “Ti faccio fare la fine di Biagio”, lasciando intendere di sapere come fosse scomparso. Entrambi, nel corso dell’inchiesta aperta dalla Procura per fare luce sulla morte dell’operaio, sono stati indagati per omicidio.
Stando al giudice per le indagini preliminari che ha disposto l’archiviazione del caso, Alberto Ziroldi, contro di loro non ci sarebbero, però, delle prove. Del resto, sul corpo della vittima non sarebbero stati trovati segni che possano rinviare ad una morte violenta. Si sa invece che, poco prima di morire, Carabellò aveva assunto un mix di droghe – ketamina, eroina e benzodiazepine – e che, da un po’, oltre ad essere tossicodipendente, soffriva anche di depressione e aveva tentato per due volte il suicidio.
L’ipotesi del gesto volontario
Per questo il gip ha avanzato l’ipotesi che l’uomo possa essersi allontanato e tolto la vita volontariamente. Una tesi che ha giudicato “altamente probabile”, assolvendo i due indagati. Di fatti, anche se la vittima fosse stata uccisa (cosa poco probabile), nulla lascerebbe pensare che possano essere stati loro, dice, perché tutti gli accertamenti effettuati nei loro confronti hanno avuto esito negativo.
L’archiviazione è una buona forma di cautela per evitare che un processo finisca con un’assoluzione. Al momento giusto chiederemo la riapertura del caso con nuovi elementi per fare avere a Biagio la giustizia che merita,
ha commentato, una volta appresa la notizia dell’archiviazione dell’inchiesta, l’avvocata Barbara Iannuccelli, che assiste la famiglia di Carabellò e che ha sempre creduto che qualcuno possa aver visto qualcosa, nascondendo la verità. Si è detto soddisfatto, invece, l’avvocato di Scaramuzza, Marco Sciascio.
Accogliamo con soddisfazione l’ordinanza del gip, ma ribadiamo che siamo sempre restati fiduciosi delle indagini e della loro conduzione da parte della dottoressa Carusoessendo certi che ogni aspetto è stato analizzato in maniera scrupolosa e imparziale a onor di giustizia,
ha dichiarato, facendo riferimento alla pm che ha coordinato le indagini.