PEPPINO IMPASTATO PROCACCIANTI – 45 anni fa, il 9 maggio 1978, venne ucciso Giuseppe Impastato, detto Peppino, il giornalista e militante di Democrazia Proletaria di Cinisi. La sua colpa fu quella di aver attaccato apertamente il boss, cosicché, venne ritrovato sui binari della Palermo-Trapani. A quel tempo, in molti sostennero che fosse morto nel mentre stesse preparando un attentato, scartando la pista mafiosa.

Il professore Paolo Procaccianti, ha parlato dell’atmosfera che si respirò in quegli anni.

Nonostante avesse la Mafia in casa, Peppino Impastato non esitò a prenderne con coraggio le distanze. Contro Cosa Nostra, usò una delle armi più potenti di sempre: la cultura. Per polverizzare il potere e l’arroganza dei boss, si servì anche dell’ironia che lo contraddistingueva. A Impastato, il titolo di giornalista venne riconosciuto d’ufficio post mortem. Fu anche attivista e membro di Democrazia Proletaria nella piccola Cinisi, ma pagò con la vita la sua ribellione alla Mafia. La sua costante denuncia, manifestata soprattutto attraverso i microfoni di Radio Aut, gli costò cara, tanto che il suo corpo, venne ritrovato logoro, vicino ai binari della ferrovia Palermo-Trapani.

Peppino Impastato, parla il professore Paolo Procaccianti

Il professore Paolo Procaccianti, che da Medico Legale ha svolto svariate autopsie nella insanguinata Palermo degli anni Ottanta e Novanta, ha ripercorso con palermotoday.it, il giorno dell’assassinio. Lui si recò sul luogo del delitto assieme al suo Maestro, Ideale Del Carpio: «C’erano ancora una parte dei resti di Impastato, nel casolare accanto alla ferrovia trovai una pezzuola nera, quella in cui probabilmente fu avvolto l’esplosivo utilizzato per ucciderlo». La condanna per omicidio, all’ergastolo del capomafia Gaetano Badalamenti, chiamato da Impastato, ‘Tano Seduto‘, arrivò soltanto nel 2022. Nella relazione consegnata alla Procura da Del Carpio e Procaccianti immediatamente dopo i gatti, gli elementi per arrivare a ciò, c’erano già. Eppure c’è voluto quasi un quarto di secolo per arrivare alla sentenza.

Il pensiero dominante girato negli anni, è stato invece che Impastato, da militante di Sinistra, fosse morto mentre era in preda di preparare un attentato, e successivamente, fosse morto suicida, dopo aver ritrovato una lettera. Il caso non destò un alto eco a livello nazionale, perché proprio il 9 maggio del 1978, in via Caetani, a Roma, venne ritrovato anche il cadavere del Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, fatto fuori dalle Brigate Rosse, in seguito al sequestro compiuto il 16 marzo precedente e la prigionia di 55 giorni. A livello locale però, ci fu il cronista giudiziario del Giornale di Sicilia, Mario Francese, a dare il giusto eco alla vicenda. Purtroppo fu ucciso anche lui da Cosa Nostra, il 26 gennaio del 1979. Prima però, riuscì a dar voce alla madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta, e ai suoi compagni e amici, indicando subito la pista dell’omicidio. Un altro giornalista ucciso dalla Mafia, fu Mino Pecorelli.

Paolo Procaccianti: “Non venni mai sentito…”

Procaccianti afferma a riguardo: «Non venni mai sentito, se non dopo tantissimi anni dal Sostituto Procuratore Franca Imbergamo, che mi disse: ‘Ma voi l’avevate scritto…’. In effetti tra le righe della nostra relazione autoptica mettevamo in luce delle discrepanze. Allora però, la medicina Legale era agli albori, e prevalevano comunque le ricostruzioni investigative». In tutti questi anni le cose sono cambiate, dato che oggi, gli accertamenti autoptici nei processi, hanno un ruolo più che centrale, e non marginale come fu allora. Procaccianti ribadisce: «Mi fu utile l’aver partecipato qualche anni prima all’autopsia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli». Feltrinelli, nato a Milano, e soprannominato ‘Osvaldo‘, morì il 14 marzo 1972 a Segrate, mentre cercava di installare una bomba.

Il professore ricorda come fosse difficile la situazione a quei tempi: «Il clima di quegli anni era pesante, e si preferì la pista terroristica, anche perché Impastato era un militante di Sinistra, e l’ipotesi è che stava preparando un attentato per distruggere lo Stato, piuttosto che quella mafiosa». Difficilmente si è pensato invece, che Cosa Nostra potesse non aver gradito la satira e gli attacchi continui di Peppino Impastato. Il Maxiprocesso, in quel 1978, era ancora lontano.

Ci vollero anni, per ricostruire la faccenda. La conclusione fu, che il giornalista venne colpito con un sasso e ucciso. Di seguito, fatto saltare in aria con tritolo per simulare un attentato fallito o un suicidio. La pietra incriminata venne rinvenuta a pochi metri di distanza con tanto di tracce di sangue di Impastato. Più recentemente inoltre, venne aperta anche un’inchiesta sul depistaggio iniziale nelle indagini, che fu affidata, allora, all’ex Maggiore dei Carabinieri Antonio Subranni, al Brigadiere Carmelo Canale e ai Marescialli Francesco Di Bono e Francesco Abramo. Il fascicolo fu archiviato nel 2018 dal GIP Walter Turturici. Le accuse di favoreggiamento aggravato e falso furono dichiarate prescritte.