Corsi di formazione disoccupati, tra fondi europei e risorse strutturali delle Regioni ci sono 4,9 miliardi di euro da spendere entro il 2025. Ma di corsi ne sono partiti ben pochi, soprattutto per dare attuazione alle politiche attive del programma Garanzia per l’occupabilità lavorativa (Gol). Eppure, con lo stop al Reddito di cittadinanza e la parziale sostituzione della nuova indennità, il Sostegno per la formazione e il lavoro, gli occupabili potrebbero intraprendere percorsi di riqualificazione per ritrovare il lavoro. Una montagna di soldi che però non sono collocati per far incontrare domanda e offerta di lavoro.

Corsi di formazione disoccupati richiesti per chi prende il Reddito di cittadinanza: perché?

Corsi di formazione disoccupati, sono in tutto 4,4 i miliardi di euro per aiutare i disoccupati a riqualificarsi e a trovare lavoro, ai quali vanno aggiunti 500 milioni di euro dei fondi del React Eu. Finanziamenti tutti europei, molti dei quali transitano per le Regioni italiani, ma domanda e offerta di lavoro non si incontrano. Nei numeri, le risorse dovrebbero aiutare 3 milioni di disoccupazioni a trovare un lavoro con le politiche Gol (Garanzia per l’occupabilità lavorativa) che, come obiettivo, ha la formazione di 800mila persone entro il 2025. Ma per ora di corsi se ne sono visti ben pochi. La questione è divenuta ancora più urgente dopo la riforma del Reddito di cittadinanza, dapprima con la legge di Bilancio 2023, e poi con il decreto “Lavoro” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 maggio scorso.

Dei 3 milioni di disoccupati, si stimano 615mila lavoratori occupabili tra i 18 e i 59 anni che percepiscono attualmente il sostegno del Reddito di cittadinanza. Questa platea avrà un anno di tempo a partire da settembre prossimo per frequentare corsi di formazione e ritornare in pista con competenze che possano soddisfare le esigenze delle imprese nella loro ricerca di personale. Il nuovo strumento introdotto dal decreto del 1° maggio scorso dal governo, prevede che chi prende il Reddito di cittadinanza (fino alla mensilità di luglio 2023), debba poi da settembre fare domanda del Sostegno per la formazione e il lavoro, con indennità di 350 euro al mese per 12 mesi. Percettori di Reddito di cittadinanza a fine corsa e disoccupati in genere, sono dunque nelle situazioni di attesa di un corso che possa riqualificarli per lavorare. Ma cosa non funziona nell’allocazione dei tanti soldi provenienti da Bruxelles?

Corsi di formazione disoccupati, perché i fondi a disposizione non sono spesi?

C’è, innanzitutto, un problema di quanto e come spendere per i corsi di formazione ai disoccupati. La maggior parte dei finanziamenti europei passa per le Regioni, competenti nella spesa dei finanziamenti soprattutto per la conoscenza territoriale delle necessità lavorative dei cittadini. Lo scorso anno, le risorse assegnate alle Regioni per i corsi di formazione sono state pari a 880 milioni di euro che, per il transito dei centri per l’impiego, avrebbero dovuto riqualificare 709mila disoccupati. Il solo obiettivo Gol fissato al 2022 era di 160mila persone formate, ma il risultato è stato pari a zero. Anche l’ultimo aggiornamento di fine marzo scorso delle politiche attive in questa direzione ha dato esito nullo.

Primi segnali di corsi di formazione per disoccupati giungono da Lombardia e Veneto che hanno iniziato a stabilire lezioni con orari e frequentanti. Si sono mosse anche l’Emilia Romagna, il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Trento. Altrove, si stanno organizzando per le aule e i programmi, come in Lazio, Abruzzo e Campania.

Insomma, tra vari ritardi qualcosa si sta muovendo, anche se tutte le altre Regioni sono ancora alla fase dei bandi per l’assegnazione dei fondi alle società che dovranno occuparsi di formazione dei disoccupati. È così in Puglia, Sicilia e Calabria. Peggio in Liguria, Marche, Basilicata, Sardegna, Molise e Provincia autonoma di Bolzano. Che siano corsi per estetisti, parrucchieri, camerieri, addetti alle segreterie, alle pulizie o alla logistica, nel 2023 i programmi Gol dovranno far incontrare domanda e offerta di formazione e far arrivare a fine corso 320mila persone, alle quali si aggiungono i 160mila del 2022.

Politiche attive occupazione Gol, domanda e offerta di lavoro: quali corsi scegliere?

Su cosa bisognerà lavorare? In primo luogo sulla divergenza tra domanda e offerta di lavoro. Cioè sulle competenze che richiedono le imprese e quelle che offrono i candidati. A questo punto, i percorsi di formazione che offrono gli enti finanziati dalle Regioni diventeranno decisivi nell’indirizzare la formazione laddove ci sia davvero bisogno di competenze. Dal Bollettino mensile Excelsior di Unioncamere e Anpal, emerge che le imprese programmano centinaia di migliaia di assunzioni mensili, ma circa un’immissione su due va perduta per mancanza di candidati (il 46% di media).

Non si tratta solo di lavori di alta specializzazione, ma anche di impieghi con competenze medie, basse o nulle. Ad esempio, le imprese cercano fonditori, addetti alle rifiniture delle costruzioni, lattonieri, manutentori, conduttori di veicoli, operai dell’abbigliamento e del tessile: di tutte queste professioni, sette posti di lavoro su dieci rimangono deserti perché le imprese non trovano candidati con le qualifiche richieste. Sono questi dati che, innanzitutto, gli enti di formazione devono considerare prima di organizzare un corso.

A cosa prestare attenzione quando si sceglie un corso per lavorare?

Un secondo problema riguarda la verifica delle competenze. Chi controlla che i corsi frequentati siano davvero serviti per la qualificazione lavorativa? Da gennaio di quest’anno, le Regioni avrebbero dovuto mettere in piedi un sistema di certificazioni, ma finora si sono mosse in poche (Abruzzo, Liguria, Trentino, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Umbria e Basilicata) e con regole differenti da territorio a territorio. Ci sono, quindi, nodi da sciogliere sull’organizzazione dei corsi, sulla programmazione di base e sull’uniformità del servizio reso, anche in rapporto ai percorsi da seguire di presenza o online.

A ciò si aggiunge un business di società di formazione, molte improvvisate, che non hanno reso per quanto incassato. A dicembre scorso erano attive, almeno sulla carta, 12.487 società di formazione, circa 1.500 in più rispetto a quattro anni prima. Eppure, di molte non si hanno notizie dettagliate e, ovviamente, non rispondono all’esigenza di far incontrare domanda e offerta di lavoro. La proposta, molte volte, è quella di corsi che non servono realmente a formare competenze che le imprese cercano, ma in base alle possibilità di formazione che possono garantire.