Sono passati ormai tre anni da quando in Cina è scoppiata l’emergenza, poi divenuta mondiale, del Sars-Cov. Il Covid19 ha cambiato, in un modo nell’altro, le vite di tutte e tutti noi. Ma in particolar modo, in una devastazione che si è scatenata all’intersezione tra la vita personale e quella professionale, i giornalisti e le giornaliste della Cina. Alcuni di loro stano stati, letteralmente, silenziati dal Partito Comunista Cinese che, come è consuetudine, ha messo davanti alla vita altrui la reputazione del paese nel mondo. È il caso, tra gli altri, di Fang Bin accusato – come capita regolarmente agli attivisti e ai dissidenti in Cina – di “provocare disordini” ed è stato condannato a tre anni di carcere. Fang Bin è un blogger che, come tanti altri, è stato messo sotto la stretta osservazione del regime quando ancora non era chiaro a cosa avrebbe portato il ceppo di contagi allora circoscritto al solo villaggio di Wuhan. Fan Bin, infatti, nell’ambito della sua divulgazione, ha diffuso video sulla reale situazione a Wuhan.

Mal comune non è mezzo gaudio

Ma dicevamo, la vicenda di Fang Bin non rappresenta un unicum. Ricordiamo, proprio in quel periodo nero a cavallo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, le vicende che hanno toccato la documentarista Zhang Zhan – i cui fatti avevano destato allarme a livello internazionale – che era stata arrestata a maggio 2020 e successivamente condannata a quattro anni di carcere. Il caso è diventato di rilevanza mondiale grazie alla resistenza di Zhan che, dal carcere, aveva avviato uno sciopero della fame. Ma anche grazie all’azione della famiglia che ha, più volte, denunciato le condizioni a cui è stata soggetta Zhang Zhan la cui incarcerazione ha riportato in auge una vecchia questione: l’opacità del sistema giudiziario cinese. Non solo: anche quella relativa alla reale natura e all’effettivo impatto che stava avendo il virus di Wuhan. Ancora oggi c’è asimmetria tra il numero di morti da Covid comunicato da Pechino e quello calcolato dall’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità). Insomma, Fang Bin non è stato l’unico ad avere problemi con lo stato cinese durante il Covid. Ma non è una consolazione.

Cina, scarcerato Fang Bin

È una consolazione eccome, forse un lieto fine, la scarcerazione di Fang Bin -uno dei documentaristi della prima fase dell’epidemia di Covid-19 a Wuhan – che è stato rilasciato dopo più di tre anni in detenzione. A riferirlo è un membro della sua famiglia – che ha preferito rimanere anonimo – ai microfoni della Ccn. Questa persona riferisce che la scarcerazione è avvenuta domenica scorsa. Secondo le indiscrezioni lo stato di salute di Fang sarebbe tutt’altro che ottimale: nei tre anni di detenzione l’uomo avrebbe avuto problemi a mangiare e dormire.

Cosa ha fatto Fang Bin

Ma cosa ha fatto Fang Bin per essere finito in una vicenda tanto complessa? Semplicemente il suo lavoro: i suoi video, all’inizio del 2020, mostravano una realtà ben diversa da quella ufficiale, prima che il 23 gennaio di quell’anno le autorità cittadine decidessero di imporre il lockdown. Circa tre settimane dalla notizia della diffusione di una misteriosa malattia che si stava diffondendo tra la popolazione, Fang Bin aveva già fatto trapelare il lato reale della situazione mandando su tutte le furie il governo centrale. Il blogger, infatti, aveva raccontato la situazione del contagio negli ospedali della città di Wuhan. In un video, addirittura, aveva mostrato una pila di sacchi per cadaveri in un furgone. L’ultimo video prima di sparire il 9 febbraio 2020, lo vedevano inneggiare ad una rivolta per “ridare potere al popolo”. Dopo 3 anni, il suo incubo è terminato.