Sarebbe morto a causa di un pugno ricevuto sopra l’orecchio sul ring, Edoardo Zattin, il 18enne deceduto dopo un allenamento di boxe lo scorso febbraio a Monselice, in provincia di Padova. A metterlo in luce è stata l’autopsia, che ha quindi smentito quanto dichiarato dai frequentatori e dai titolari della palestra coinvolta che, fin dall’inizio, avevano sostenuto che durante la sessione non ci fossero stati contatti fisici tra gli atleti. Sul caso la Procura di Padova aveva già aperto un fascicolo di inchiesta per omicidio colposo contro ignoti. Si continua ora ad indagare, per fare luce su quanto accaduto e per capire perché i presenti abbiano tentato di nascondere la dinamica dei fatti, escludendo il colpo che, invece, avrebbe provocato il decesso del giovane, innescando una reazione a catena.

Edoardo Zattin autopsia: cosa dicono i risultati degli esami effettuati sulla salma

Si stava allenando all’interno dell’Iron Dojo Team di Monselice, in provincia di Padova, quando, all’improvviso, si era accasciato sul pavimento e, una volta ricoverato d’urgenza presso l’ospedale più vicino, era morto, nonostante i tentativi dei medici di salvarlo. È la triste storia di Edoardo Zattin, il 18enne deceduto il 24 febbraio scorso a causa di un’emorragia cerebrale. Sulla sua vicenda la Procura di Padova aveva aperto, fin da subito, un fascicolo di inchiesta per omicidio colposo contro ignoti, procedendo ad interrogare gli avventori della palestra frequentata dal giovane e i suoi titolari, con l’obiettivo di fare chiarezza sull’accaduto.

Erano stati proprio i primi testimoni a portare gli inquirenti a pensare che il 18enne potesse essere morto a causa di un malore. Stando alle parole dell’istruttore, Simone Lazzarin, Edoardo era caduto a terra senza un motivo: durante la sessione di allenamento, aveva detto, tra gli atleti non c’erano stati contatti fisici. Una versione dei fatti ora smentita dall’esito dell’autopsia effettuata sulla salma del giovane. Secondo il medico legale incaricato, il 18enne avrebbe infatti ricevuto un pugno sopra l’orecchio. Sarebbe stato il trauma provocatogli dal colpo a causarne la frattura cranica e la successiva emorragia che l’avrebbe ucciso, due giorni dopo l’incidente.

Resta ora da chiarire l’esatta dinamica dei fatti e accertare se, nel corso dell’esercitazione – che prevedeva, dopo il riscaldamento, lo sparring, una forma di allenamento uno contro uno in cui i due pugili si danno il cambio tra difesa e attacco, senza colpirsi -, la vittima indossasse il casco di protezione previsto dalla normativa. Secondo i testimoni sì. Per questo, tra le prossime mosse degli inquirenti, ci sarà un ulteriore controllo delle testimonianze raccolte finora, che saranno incrociate con i nuovi dati dei medico-legali. Per ora non ci sarebbero indagati.

Le prime testimonianze sull’accaduto

Non dite che è morto sul ring, perché non è vero. Si tratta di un allenamento in cui non è previsto il contatto e che si svolge sul tatami, cioè un materasso. Inoltre, come tutti, Edoardo indossava il caschetto, gli stivaletti antiscivolo, il paradenti e i guanti da allenamento, che sono più morbidi di quelli da combattimento,

aveva dichiarato in un primo momento il presidente dell’associazione sportiva coinvolta al Gazzettino Veneto, smentendo le voci riportate sulle principali testate nazionali. Stando alle ricostruzioni, nel corso dell’allenamento erano presenti in sala circa 7-8 persone. A colpire il giovane sarebbe stato un 35enne di origini padovane, un atleta molto esperto. Dopo averlo incontrato, Edoardo si sarebbe accasciato a terra. Al loro arrivo, i sanitari del 118, avvertiti dai presenti, avevano provato a rianimarlo con le prime manovre, ma senza successo. Più tardi il 18enne era stato trasportato in elisoccorso all’ospedale di Padova, dove i medici avevano provato a salvargli la vita, spezzatasi due giorni dopo il ricovero.