Nei nuovi contratti a termine disciplinati dal decreto “Lavoro” del 1° maggio 2023, oltre alle nuove causali e clausole che disciplineranno i rapporti di lavoro a tempo determinato, è previsto anche un rimborso. L’indennizzo prende forma nel momento in cui vi sia la mancata assunzione del lavoratore. Infatti, se il contratto da tempo determinato non dovesse passare a tempo indeterminato, il lavoratore avrebbe diritto al rimborso. La modifica delle causali, invece, interviene sul rinnovo o sulla proroga dei contratti a termine dai 12 ai 24 mesi.
Contratti a termine del decreto ‘Lavoro’: ecco quando al lavoratore spetta il rimborso di 500 euro a fine rapporto di lavoro
Arriva anche l’indennizzo sui nuovi contratti a termine, usciti riformati dal decreto “Lavoro” che il governo Meloni ha presentato in Consiglio dei ministri il 1° maggio scorso. In caso di mancata assunzione del lavoratore a tempo determinato, l’azienda (o il datore di lavoro) dovrà corrispondere un rimborso pari a 500 euro. Lo prevede la bozza del provvedimento adottato dal governo, all’articolo 23. Il nuovo rimborso funziona nei casi in cui, al termine della durata massima del contratto a termine di 24 mesi, il datore di lavoro o l’azienda non assuma il lavoratore a tempo indeterminato. Rimangono fuori dal perimetro del rimborso i lavoratori stagionali.
Contratti a termine indennità 500 euro e nuove causali tra le novità del decreto ‘Lavoro’
Il decreto “Lavoro” va a disciplinare anche le causali e le clausole del contratto a termine. Al di fuori dell’indennità, sono le condizioni dei nuovi rapporti di lavoro le novità più rilevanti sui contratti a tempo determinato. L’azienda o il datore di lavoro possono, infatti, prorogare o rinnovare il contratto a termine una volta che sia arrivato la scadenza dei 12 mesi fino a un massimo di 24 mesi. La novità investe anche i lavoratori assunti con contratti in somministrazione. Pertanto, il contratto fino ai 12 mesi non cambia nelle modalità di firma e di esecuzione rispetto a quanto già prevedeva il decreto legge numero 73 del 2021 (decreto “Sostegni bis) che stabiliva la facoltà per le parti di individuare le causali dei rapporti di lavoro all’interno dei contratti collettivi nazionali.
Quando un contratto a termine può essere rinnovato o prorogato da 12 a 24 mesi?
Il decreto “Lavoro” modifica le causali e le clausole dei contratti a termine nel periodo che va dai 12 ai 24 mesi, nel caso in cui intercorra una proroga o un rinnovo. Il dettato normativo stabilisce tre situazioni nelle quali le imprese datrici di lavoro e i lavoratori debbano rifarsi, rispetto a quanto previsto dal provvedimento del 1° maggio, per stabilire quale sia la causale da inserire nel contratto. La prima situazione si ha quanto la clausola scaturisca dalla contrattazione sindacale, a qualsiasi livello, sia territoriale che nazionale. In altre parole, la clausola si rifà direttamente agli accordi in tema di contratti collettivi. Il decreto, inoltre, stabilisce che la contrattazione possa essere sottoscritta anche a livello aziendale e che, nel caso in cui le sigle sindacali più rappresentative non arrivino a un’intesa, azienda e lavoratore possano arrivare a un accordo del tutto autonomo.
Nuovi lavori a tempo determinato, cosa cambia?
La seconda situazione si verifica in mancanza di previsioni dei contratti collettivi. Fino al 30 aprile 2024, datore di lavoro e lavoratori possono rinnovare o prorogare un contratto di 12 mesi fino al massimo di 24 mesi, per esigenze di carattere tecniche, organizzative o produttive individuate dalle due parti. Infine, la proroga può scattare anche nel caso in cui al lavoratore venga proposta la proroga o il rinnovo del contratto per sostituire altri lavoratori. Rispetto ai nuovi contratti a termine del governo Meloni, quelli del decreto “Dignità” (Dl 87 del 2018), stabilivano che i rapporti a tempo determinato fossero acausali nei primi 12 mesi, prima di poter essere rinnovati per altri 12 mesi, ma solo a fronte di un sistema di causali ben circoscritto.