Nella rubrica di Tag24 “Non solo trentatrè”, curata dal Prof. Enrico Ferri e dal Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli, oggi affrontiamo un tema quanto mai attuale: la fuga dei giovani medici all’estero.
Ne parliamo col Professor Roberto Carlo Rossi
Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Milano
Laurea in Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano. Specializzato in Cardiologia, Università degli Studi di Milano. Corso di Perfezionamento in Gestione Operativa delle Cure Primarie, Università degli Studi di Milano. Incarico c/o Comitato Centrale FNOMCeO in qualità di esperto delle Attività delle Commissioni e Scelte Strategiche inerenti la Pubblicità Sanitaria. Vicepresidente “Collegio Arbitrale” Lombardia. Professore Università di Milano – Facoltà di Medicina e Chirurgia, Clinica Medica.
Perché tanti giovani medici se ne vanno dall’Italia?
Nell’ultimo decennio, secondo dati ISTAT, 980 mila italiani si sono trasferiti all’estero, uno su quattro con un diploma di laurea. Dal 2005 al 2015 più di diecimila medici (10.104) hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero (www.ansa.it, 4 agosto 2022, con relative fonti), provocando una doppia perdita: di risorse impiegate dalla comunità nazionale per la loro formazione e di competenze professionali e scientifiche che lasciano l’Italia, spesso per non tornare più. Quali le cause di questo fenomeno? Ne parliamo con il Prof. Roberto Carlo Rossi.
Presidente Rossi, sotto l’aspetto pratico, quali sono le implicazioni del consistente esodo dei giovani medici dall’Italia?
A seconda della facoltà, la formazione di un laureato costa allo Stato Italiano tra 150.000 e 250.000 euro. Se poi parliamo di medici specializzati, visto il più lungo iter accademico, questa cifra aumenta fino a valori di 3-400.000 euro. Queste cifre comprendono sia tutte le spese che lo Stato deve sostenere per l’intero periodo formativo, che la mancata tassazione che il lavoro di quelle persone avrebbe prodotto.
A parte la perdita strettamente economica patita dalla Stato, ad aggravare il quadro generale della Sanità Italiana sono anche altri fattori: numero insufficiente di specializzati prodotti dal sistema, molti medici in età pensionabile (sempre nel Lazio, lo scorso anno, vi è stato un incremento delle domande di pensionamento: 600 in più del solito, con un incremento del 20%), difficoltà di assunzione, diminuzione del personale infermieristico.
Uno studio del sindacato Anaao nel Rapporto dà un quadro non molto rassicurante: “… nel 2025, curarsi in ospedale sarà ancora più difficile: tra medici di emergenza, pediatri, internisti, ortopedici, psichiatri, mancheranno all’appello 16.500 specialisti”.
Ma perché i medici italiani vanno via?
Bisogna premettere che la scuola Italiana, l’università Italiana, nella preparazione teorica è tra le migliori al mondo. Negli ultimi anni c’è stato anche un miglioramento nella formazione pratica, interventistica. Questo spiega anche il successo di tanti connazionali all’estero, e la costante richiesta di laureati italiani.
In Europa, tra i medici che scelgono di esercitare la professione altrove, il 52% è italiano. Ma sarebbe un errore credere che questo esodo sia tipico del mondo medico. Come spieghiamo i 28.000 laureati, nelle diverse facoltà, andati via solo nel 2017?
Molti articoli pongono l’accento sul sistema retributivo dei medici, sui guadagni. In effetti i salari medi dei medici italiani sono sostanzialmente inferiori a quelli di molti colleghi europei. L’Italia è penultima, avanti alla sola Grecia. Il confronto poi è ancora più marcato con i redditi americani. Queste valutazioni, ovviamente, tengono in considerazione anche il rapporto salario/costo della vita. Certamente mancanza di turn over e contratti bloccati non facilitano la situazione. L’errata programmazione e il limitato accesso alle scuole di specializzazione hanno poi fatto il resto. Così si spiega l’esodo di oltre 4.700 specialisti italiani che ogni anno trovano lavoro altrove in Europa, in stati che, pur avendo anch’essi sbagliato programmazione, sono corsi ai ripari offrendo condizioni di lavoro migliori.
Da noi invece la situazione è paradossale. In Italia abbiamo oltre 26.000 specialisti già formati ma senza lavoro, ve ne sono più di 33.000 in via di specializzazione e quindi un totale di oltre 50.000 professionisti che potrebbero andar via per mancanza di alternative valide.
Prof. Rossi, quindi il problema è soprattutto economico?
Ridurre questa analisi e indicare le condizioni economiche come la sola causa di questa situazione sarebbe limitante ed inesatto. Né sarebbe giusto minimizzare l’importanza di esse. Chiaramente, la mancata possibilità di avere un contratto, facilita una determinata decisione. Perché stupirsi se un’offerta di lavoro, maggiormente retribuito, possa essere presa in considerazione, anche se viene solo dall’estero?
Quali sono le altre motivazioni?
Va anche ricordato che, spesso, in Italia, si lavora male. Vi sono eccezioni, aree di eccellenza, ma le prospettive di carriera sono spesso legate a fattori non professionistici, non c’è meritocrazia, ricambio generazionale, valorizzazione e rispetto dell’individuo, c’è scarsa efficienza, abilità manageriale, risorse inadeguate o male allocate. Il livello di informatizzazione, fondamentale per una Sanità moderna, è quantomeno a macchia di leopardo, non standardizzato, con sistemi operativi diversi. Il fascicolo sanitario elettronico, per l’utilizzazione e interscambio dei dati dei pazienti, ha difficoltà a decollare perché non tutte le Regioni ne fanno uso o addirittura mancano le infrastrutture.
Bisogna anche ricordare un mancato riconoscimento sociale, una scarsa valorizzazione sia dei medici che del Sistema Sanitario Nazionale. Per non parlare poi delle difficoltà che si incontrano nella formazione post specialistica e nella ricerca.
In poche parole, è quantomeno difficile lavorare in questo contesto. All’estero questo non avviene o avviene in maniera molto più limitata.
Queste sono le motivazioni per cui uno non solo va via, ma, soprattutto, non torna. Si possono fare tutte le leggi o proposte, ma se non sarà il sistema a cambiare, la mentalità, non cambieranno i risultati. Continueremo a formare ottimi professionisti offrendoli poi in regalo ad altre nazioni.