La guerra non cambia mai. Tutte sono uguali e sono combattute sempre per ottenere qualcosa. In Sudan sono scoppiati combattimenti fratricidi tra il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate e praticamente presidente del Paese, e il suo vice, nonché leader delle Rsf, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti. Una guerra per potere, una guerra per controllare e comandare il Paese che, però, risucchia come un vortice la comunità internazionale. Molti sono infatti gli interessi delle super potenze come Cina e Russia. E lo sa bene Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, per anni in Sudan, che a Tag24 racconta la guerra e quello che sta succedendo.  

Padre Alex Zanotelli, lei è un missionario comboniano che conosce bene l’Africa e il Sudan: cosa sta succedendo lì, in questa guerra?

“Ho vissuto in Sudan per 8 anni, durante la prima guerra civile tra Nord e Sud. Conosco bene le dinamiche sudanesi. Il grande Sudan, che poi si è spaccato in Nord e Sud, era già problematico. Ma anche il Nord Sudan stesso, ha dei bei problemi nello stare insieme. Prima di tutto ci sono varie popolazioni, come i Nuba che sono effettivamente popoli africani, con nulla di arabo, e loro fremono. Speravano di unirsi al Sud ma non ce l’hanno fatta. Questo perché lì la patata è sempre bollente. Altrettanto le popolazioni Fur del Sud del Darfur, massacrati dai Janjaweed”.

Guerra in Sudan, la situazione di oggi vista da Padre Alex

E oggi?

“Adesso il Sudan è una patata bollente. Il popolo sudanese è stato uno dei popoli, a livello di ricerca della democrazia, più interessanti che abbia visto in Africa. In questi anni sono riusciti a scendere in piazza a urlare, a gridare e, veramente, a mettere in crisi il Governo. Il popolo sperava di fare il salto e far cadere il potere dei militari. Ma lì è scoppiata la guerra fra i due elementi. Tra Durham, che presiedeva il governo, e Dalago, che è molto conosciuto per aver fatto i massacri per il potere. Ed è proprio il potere che non vogliono mollare facilmente, mentre il popolo vuole questo passaggio. Adesso c’è lo scontro militare interno. Sarà interessante vedere come il popolo, che è stato così bravo in questi anni a chiedere la democrazia, come reagirà”.

Il popolo sudanese cosa sta facendo?

“È chiaro che il popolo non può reagire adesso perché c’è la guerra civile. Vediamo quello che verrà fuori. Vediamo come reagiranno i Nuba, i Fur e soprattutto come reagiranno i popoli attorno. C’è, infatti, tutto il problema dell’acqua del Nilo che sta bollendo e l’Egitto guarda attentamente lo Stato. È tutto un miscuglio di situazioni veramente critiche che effettivamente stanno saltando in aria. Il Sudan è in piena guerra civile, non sarà semplice uscirne fuori”. 

Gli interessi delle potenze straniere sul Sudan

Ma immagino che ci siano interessi anche delle potenze straniere. Penso alla Cina, alla Russia…

“Certamente, ci sono interessi enormi della Russia, che è molto interessata a Port Sudan, dove ha già una base. Infatti la Russia vuole controllare il passaggio delle navi nel canale di Suez. La Russia è presente con la Wagner anche in Sudan. Lo stesso i cinesi, che hanno iniziato a entrare nel Sudan. Ma soprattutto gli egiziani. L’Egitto è molto preoccupato per le acque del Nilo e per la diga, che peraltro abbiamo costruito noi italiani, che blocca l’acqua. L’acqua è preziosa per l’Egitto, che può intervenire anche dal di fuori. Tutto questo lo rende un problema internazionale”. 

E i missionari? Sono fuggiti anche loro o sono rimasti ad aiutare il popolo sudanese?

“Da quello che ho appreso dalla direzione generale di Roma, sappiamo che il Comboni College, una scuola importante, dove sono passati molti leader che fanno politica in Sudan, ha mandato a casa tutti gli studenti. Invece, i comboniani che erano sul territorio sono andati alcuni a al-Ubayyiḍ e altri a Omdurman. Altri comboniani sono rimasti a Kosti. Per me, però, è fondamentale che un missionario rimanga. Un missionario non può abbandonare il suo popolo in un momento di crisi. Anche Emergency ha deciso di rimanere e tenere aperto il suo ospedale. Certo, è chiaro che non puoi obbligare nessuno a questa scelta. Comunque, buona parte dei comboniani è rimasta con il popolo sudanese”. 

Il futuro del Sudan

Padre Alex, lei cosa si aspetta? Cosa potrebbe succedere in futuro?

Per me tutte le chiamate di cessate il fuoco sono inutili in questo momento, perché lì fra i due generali c’è un odio profondo. Soprattutto Dagalo è un criminale, che è sotto inchiesta anche dal tribunale dell’Aja per le stragi in Darfur. Non scherzano ed è questo che rende molto terribile questa situazione. Potrebbe precipitare in una guerra internazionale. Adesso molta gente sta fuggendo, la via più facile è fuggire verso il Sud Sudan, anche se è in crisi profonda. Non riescono ancora a trovare pace nel Sud Sudan. Altri vanno anche in Ciad. La maggior parte delle tensioni sono a Khartum, perché vogliono mettere le mani sopra la capitale così da poter controllare tutto il Paese. 

Padre Alex, sono state sancite molte tregue, poi non rispettate. A questo punto dovrebbe intervenire la comunità internazionale, per evitare una escalation della guerra?

“Sarebbe forse l’unica maniera, cioè che l’Onu intervenisse con forza. Però non so quanto possa farlo in un momento così critico. La mia speranza è che, una volta che si sia calmata la situazione, il popolo sudanese abbia la forza che ha avuto in questi anni di ritornare in piazza e chiedere la democrazia. È stato uno dei popoli più straordinari e spero nella sua reazione”.