Brittney Griner, la giocatrice americana di basket, ha parlato per la prima volta della sua detenzione in Russia in un’intervista alla stampa. La 32enne stella della WNBA è rimasta nel carcere di Mosca da febbraio a dicembre dello scorso anno, quando Mosca e Washington conclusero uno scambio di prigionieri.
Numerose le rivelazioni della cestista, attiva anche nel campo dei diritti Lgbtq, sia sul lato umano che su quello sportivo. Cominciando da quest’ultimo, che dà un quadro sul suo futuro, Griner ha dichiarato che non giocherà più all’estero se non con la nazionale statunitense (e solo per le Olimpiadi).
Prima di tutto grazie per essere qui, grazie ai Phoenix Mercury per il sostegno. Grazie ai coach, alle giocatrici e tutta la franchigia. Un grazie anche al presidente Biden, alla WNBA e alla WNBPA. Ci sarebbero tante persone da ringraziare. […] Il motivo per cui molte di noi vanno all’estero è il divario di stipendio, per sostenere le nostre famiglie e noi stesse.
Brittney Griner dal carcere in Russia agli USA, ora chiede tranquillità: “Non giocherò all’estero”
Eppure, è parso abbastanza lampante che i giornalisti presenti durante l’intervista aspettassero di conoscere i dettagli della sua prigionia: ricordi dolorosi a cui Brittney Griner si è più volte lasciata andare a copiose lacrime.
In mezzo a tante pause per riprendere il respiro, la giocatrice è riuscita a rimettere in sesto i cocci emotivi rievocando dolorosamente il periodo più buio della sua vita.
Non sono estranea ai momenti difficili, so che nel corso della vita si devono affrontare delle avversità. L’ultima è stata piuttosto grande, ho combattuto e lottato per superarla con quello che il basket mi ha insegnato. Ti alleni tantissimo, trovi un modo per macinare, basta abbassare la testa e andare avanti e andare avanti. Non puoi mai stare fermo e quella era la mia salvezza; non stare mai ferma, non concentrarti mai troppo sul presente e non guardare avanti a ciò che verrà. Se ero aggiornato sulla situazione intorno a me durante la mia detenzione? Sì, magari con qualche periodo di ritardo, ma ero aggiornato. Ogni tanto vedevo delle immagini di me e pensavo a cosa poteva succedere. Questa cosa mi rendeva più tranquilla, mi dava una piccola speranza di andare avanti, lottare e non mollare. Cercavo sempre di seguire delle routine giornaliere per trascorrere ogni giornata. Ora, tornare alla vita reale è un processo duro, ma piacevole.
Griner ha ricordato la sua provenienza da una famiglia di ex militari, che ritiene cruciale nel capire cosa si provi a essere lontano migliaia di chilometri dalla propria patria dentro una cella. La sua terapia toccasana sono state le lettere, tante scritte alle persone che attendevano notizie sulle sue condizioni di salute.
Le Phoenix Mercury, squadra per cui ha giocato negli ultimi dieci anni, hanno avviato una campagna di sostegno all’organizzazione “Bring Our Families Home”, che supporta il lavoro per riportare in America i cittadini americani detenuti ingiustamente altrove (attualmente sono 54). La franchigia si impegnerà in altre iniziative di sensibilizzazione sull’argomento, e lo farà con la sua stella di nuovo sul parquet.