Ad Hong Kong è stata arrestata una studentessa per alcuni post pubblicati mentre era in Giappone. La ventitreenne è stata arrestata ai sensi della legge di sicurezza nazionale il mese scorso, dopo essere tornata in città dal Giappone per rinnovare i suoi documenti. Secondo quando riportano i media le autorità hanno arrestato la ventitreenne e le hanno confiscato i documenti.
Hong Kong studentessa arrestata
I motivi che si celano dietro l’arresto risalgono a alcuni post che la studentessa aveva pubblicato due anni prima, mentre era in Giappone. La polizia di Hong Kong li ha descritti come “incitamento all’indipendenza di Hong Kong” e la studentessa è stata accusata di “incitamento alla secessione”. La polizia di Hong Kong ha annunciato l’arresto il 9 marzo e è stata rilasciata su cauzione il giorno dopo. Si presenterà alla polizia a metà maggio. Secondo i media locali la studentessa non faceva parte di organizzazioni politiche o gruppi di protesta, ma si era limitata a esprimere il suo parere in merito alle proteste durante il suo soggiorno di studio in Giappone.
Questo è il primo caso che vede la legge sulla sicurezza nazionale applicata per fatti successi fuori da Hong Kong.
“Le autorità di Hong Kong stanno cercando di disciplinare le persone di Hong Kong che vivono all’estero facendo loro sapere che il grande fratello li sta ancora osservando anche quando sono in altri Paesi” ha detto Sunny Cheung, attivista di Hong Kong in esilio.
Secondo Patrick Poon, ricercatore presso l’Università di Tokyo, l’applicazione transazionale della legge di sicurezza nazionale permette al governo filocinese di Hong Kong di spaventare cittadini all’estero, soprattutto quelli meno politicizzati, che dovranno pensare in primis alla propria sicurezza. Tornare a Hong Kong, dalla propria famiglia, potrebbe essere difficile per chi ha espresso opinioni negative verso il governo o verso la Cina.
Questa strategia sembra funzionare: sono sempre meno gli hongkongers all’estero che partecipano alle manifestazioni o espongono la propria opinione. Cheung fa un esempio: “Negli Stati Uniti abbiamo organizzato un vertice a porte chiuse che ha coinvolto più di 100 abitanti di Hong Kong e, al fine di proteggere la sicurezza dei partecipanti, non abbiamo rivelato il luogo dell’evento. Le identità di tutti i partecipanti sono state cancellate dopo l’evento”.
Il Giappone, che di solito raramente si interessa alla sorte dei cittadini stranieri arrestati all’estero, ha protestato attraverso il segretario capo di gabinetto Hirokazu Matsuno, che ha dichiarato: “Chiediamo che la libertà di parola e di stampa sia protetta a Hong Kong e continueremo a lavorare a stretto contatto con la comunità internazionale per sollecitare con forza la parte cinese. Questi arresti minano la fiducia in un Paese due sistemi”
Non è mancata neanche la reazione (netta) da parte dell’ufficio cinese del commissario del ministero degli affari esteri di Hong Kong, che ha esortato: “Smettetela immediatamente di intervenire negli affari interni di Hong Kong e della Cina per qualsiasi motivo”