In occasione del primo maggio le Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani – hanno presentato i risultati della ricerca sul lavoro povero. Lo studio, intitolato “Lavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità” ha indagato oltre 760mila dichiarazioni dei redditi presentate presso i CAF ACLI. I risultati dell’indagine indicano chiaramente come, nella popolazione italiana, vi sia una percentuale significativa di persone che si collocano nelle fasce di reddito povero o sono, in generale, a rischio povertà.

Lavoro povero, Tassinari (Acli): “La ricchezza non è equamente distribuita e il lavoro si impoverisce”

La redazione di TAG24 ha raggiunto Stefano Tassinari, vicepresidente Acli, per commentare i principali risultati emersi dall’indagine sul lavoro povero.

Tassinari, può illustraci i principali risultati ottenuti nell’indagine sul lavoro povero delle Acli?

“Con questo studio le Acli si sono poste l’obiettivo, per il secondo anno, di capire quante persone riscontrano difficoltà nell’andare avanti con il proprio reddito. Dall’indagine è emerso come una persona su sette, in Italia, ha un reddito lordo annuo inferiore ai 9mila euro e vive sotto la soglia di povertà. La situazione è ben peggiore per le donne: una su quattro ha un guadagno sotto questa soglia. Lo studio ha poi indagato la situazione di chi percepisce un reddito da “lavoratore povero”, non guadagnando più di 11mila euro lordi annui. Ebbene, quasi il 20% della popolazione in Italia e il 40% delle donne vive in questa condizione. Tre persone su dieci sono, infine, a rischio povertà di fronte all’eventualità di imprevisti non improbabili come un divorzio, una malattia e perfino la nascita di un figlio”.

Colpisce molto che la nascita di un figlio possa essere un fattore di vulnerabilità rispetto al reddito. Come commenta questo dato?

“Dagli studi disponibili si nota come non solo il lavoro si sia impoverito, ma soprattutto come si stia creando una situazione in cui i servizi di welfare o non ci sono, o sono sempre più costosi. Il 50% delle famiglie rinuncia delle spese sanitarie e addirittura il 30% all’istruzione. Nell’analisi delle Acli ci siamo concentrati su diverse fasce di età. Se prendiamo ad esempio quella tra i 30 e i 34 anni, il 21.5% delle persone guadagna sotto i 9mila euro annui, il 18.1% meno di 11mila e il 30.7% è sotto i 15mila euro. Dunque in questa fascia di età, dove le persone cercano mediamente di stabilizzarsi, c’è una condizione dove di grande povertà e vulnerabilità. E i dati peggiorano, nuovamente, per le donne.

Noi non vogliamo dire che un figlio rende poveri, ma sicuramente ci sono delle grandi situazioni di disparità. La vulnerabilità economica delle donne può costringere a una dipendenza nei confronti degli stipendi dei mariti o dei compagni, alimentando spirali perverse che rischiano di riportare la condizione femminile indietro di dieci anni. Se a questo aggiungiamo che mediamente le donne hanno un maggiore carico di cura familiare, è chiaro che diverse tendenze favoriscono un tipo di impoverimento che non è solo economico”.

Nello studio sul lavoro povero delle Acli si legge “L’Italia è il Paese delle eccellenze e delle emergenze che negli ultimi anni ha scelto la logica del lavorare peggio, pur di lavorare”. Può spiegarci questa affermazione?

“Il mondo del lavoro non è tutto negativo in Italia. Il nostro Paese ha moltissime aziende leader che stanno scommettendo su una logica in cui il lavoratore è sempre mano manodopera e sempre più mente d’opera. Si tratta di realtà che richiedono ai dipendenti innovazione e creatività e, per ottenere questo, motivano i lavoratori con contratti stabili, orari migliori, investendo in politiche di conciliazione e di formazione. Con questa affermazione volevamo enfatizzare queste esperienze, ma allo stesso tempo ci sono tendenze di segno opposto. Negli ultimi trenta anni i salari italiani sono scesi mentre in tutta Europa crescevano. Per paura di perdere posti di lavoro – cosa legittima – in Italia si è però smesso di guardare a come le persone lavorano. Abbiamo lavoro nero, grigio, contratti scaduti, contratti pirata che favoriscono la tendenza a lavorare peggio e per meno stipendio“.

Qual è la posizione delle Acli sul salario minimo?

Noi non siamo per il salario minimo per legge. Noi chiediamo si rispettino l’articolo 36 e l’articolo 39 della Costituzione. L’articolo 36 sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata sufficiente ad assicurare all’individuo e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. L’articolo 39 sulla rappresentanza sindacale non è mai stato pienamente attuato.  

Il rischio del salario minimo è che non si tenga conto della complessità di alcune situazioni e che venga sminuito il ruolo dei sindacati nella contrattazione. In ogni caso serve una soluzione ed è importante sia trovata. Secondo il CNEL, Cgil, Cisl e Uil coprono più del 90% dei lavoratori. È vero che non tutto si risolve facendo riferimento ai contratti maggiormente rappresentativi, ma potrebbe essere una strada per risolvere il far west in cui ci troviamo oggi. La giurisprudenza invita a fare riferimenti ai contratti delle organizzazioni maggiormente rappresentative per spazzare via l’anarchia. Ad oggi ci sono anche tanti contratti scaduti, pensiamo a quelli del settore del commercio. Iniziare da qui sarebbe un passo. Alla base ci sono anche ragionamenti politici”.

Mi spieghi meglio.

“È chiaro che se verranno rinnovati tutti i contratti e saranno alzati i salari minimi servirà tirare fuori qualche miliardo. Non è semplice. È bene però ricordare che la produttività dipende da tante cose: se le persone a basso reddito non sono nelle condizioni di scommettere su loro stessi o sui loro figli non si crea crescita. È chiaro che le misure che noi proponiamo costano, ma le cose si possono fare: nel 2020 lo Stato italiano, a causa della pandemia, ha speso 80 miliardi extra. In quello stesso anno la ricchezza degli italiani è cresciuta dell’1%. Questo vuol dire che la ricchezza non è scomparsa dal nostro Paese.

Occorrerebbe capire come promuovere una fiscalità che magari vada a toccare le rendite per favorire il lavoro e le imprese che investono. Per non parlare della lotta all’evasione fiscale, che è una parte importante. Eppure in Italia c’è un consenso sociale sul non fare troppi controlli, altrimenti i settori economici vanno in difficoltà. Bisogna agire su tanti punti di vista, anche il Pnrr deve essere usato per accrescere la qualità del lavoro”.

Tra le vostre proposte c’è l’individuazione di una soglia di Guadagno Massimo Consentito. In cosa consiste?

Crediamo sia giusto chiedersi fino a che punto la ricchezza è guadagnata. Attenzione però: non si tratta di una battaglia contro la ricchezza, fortunatamente ci sono imprenditori e persone che investono. Ma spesso e volentieri l’economia non è sorretta solo da questo tipo di ricchezza. Alcuni manager prendono buone uscite 10.000 volte superiori ai dipendenti, anche quando magari non raggiungono gli obiettivi.

La nostra è una proposta che vuole mettere in luce le diseguaglianze, non facendo moralismo, ma mettendo in risalto come il lavoro si sia impoverito anche perché il valore prodotto non è distribuito. Speculazione finanziaria, paradisi fiscali.. è chiaro che la torta non è distribuita tra tutti quelli che hanno concorso alla creazione di ricchezza. Anche la Banca centrale europea ha detto che nell’inflazione gioca un ruolo essenziale la speculazione. C’è l’idea che la ricchezza comandi, invece si dovrebbe pensare ad essa come una creazione collettiva per creare una società meno diseguale.