Commozione, rabbia e molta compostezza nel ricordo di Barbara Capovani, la psichiatra uccisa a Pisa da un ex paziente. Troppo gravi le ferite riportate nell’aggressione avvenuta il 21 aprile fuori dal reparto di Salute Mentale Adulti dell’ospedale Santa Chiara per poter essere salvata. Resta una domanda che si pongono in molti: la tragedia poteva essere evitata? Gianluca Paul Seung, responsabile dell’aggressione, è stato in passato tra i pazienti del reparto psichiatrico dell’ospedale Santa Chiara. Disoccupato, conosciuto dalle forze dell’ordine per i suoi comportamenti e per le lettere farneticanti, recapitate a vari enti e giornali, in cui denunciava presunti complotti, con diversi procedimenti penali in corso.

Il caso della psichiatra uccisa a Pisa e il problema del linguaggio violento

Nei social, dove si definiva “sciamano mediatore fra invisibile e visibile”, c’era la denuncia di presunti complotti, invettive e attacchi contro politici, magistrati e medici e Barbara Capovani era stata messa di mirino. Il paziente in un delirio di complottismi accusava la dottoressa di riti satanici, traffico di bambini e staminali legato all’Ucraina, e di massoneria occulta.  Leggendo frasi diffamatorie, sconnesse in molti avranno pensato che sono solo parole. Non è così. E’ breve il passaggio dalle parole ai fatti. Di persone che sui social scrivono di tutto ce ne sono tantissime e a fermarle non bastano le denunce e, talvolta, le condanne. Le indagini delle forze dell’ordine sono spesso lunghe e difficili e intanto la violenza verbale continua. E, qualche volta, diventa fisica. 

Stefano Bisi