Cosa sta succedendo in Sudan? L’analisi di Filippo Sardella, presidente dell’Istituto Analisi Relazioni Internazionali, al Tg Plus condotto da Aurora Vena.

Filippo Sardella spiega a Cusano Italia Tv cosa sta succedendo in Sudan

  • Il Sudan sta vivendo, ancora una volta, un capitolo di violenza nella sua storia. Da sabato scorso, infatti, l’esercito regolare e il gruppo paramilitare guidati dal generale Dagalo si stanno affrontando. Cosa ha riacceso la miccia?

“Quello che sta succedendo in Sudan è pienamente in linea con la storia del Sudan. Il Sudan moderno nasce, come concetto, nel 1881. Il dominio coloniale inglese parte appunto per sedare una ribellione militare. Dalla decolonizzazione in poi, abbiamo avuto una serie di alternanze di fasi democratiche dove i militari hanno sempre detenuto il potere e poi abbiamo quest’ultimo trentennio di al-Bashir. I conflitti degli ultimi giorni dipendono, da una parte, dal capo del Consiglio Sovrano del Sudan al-Burhan, che dopo la deposizione al-Bashir. doveva essere colui che avrebbe dovuto portare la nazione alla democraziatizzazione. Dell’altra parte abbiamo il generale Dagalo, che faceva parte delle Rsf, le Rapid Support Forces, un gruppo paramilitare fedele ad al-Bashir che nel 2019 è stato sciolto per questione di convivenza tra i due leader“.

  • La guerra tra i due leader è dovuta solo a questioni di potere politico o anche per il controllo delle ingenti risorse economiche?

“Le risorse naturali, come spesso succede nei contesti un po’ più di attrito, sono sempre il detonatore e la miccia. Si veda il conflitto in Ucraina, il Donbass è ricchissimo di risorse naturali. Le risorse naturali sono al centro di tutto. In Sudan c’è molto oro che è fondamentale non solo come merce per lo scambio commerciale, ma anche per la transizione di digitale l’oro è fondamentale. Ormai in qualsiasi computer ci sono piccoli filamenti d’oro. Ma il Sudan è ricco anche di petrolio“.

  • Chi potrebbe mediare tra i due leader?

Potremmo sperare l’intervento dell’Unione Africana, di certo non degli Stati Uniti, per un motivo ben preciso. L’amministrazione Biden si è totalmente smarcata della questione sudanese già agli albori, già alle prime protette contro al-Bashir nel 2019. L’amministrazione Biden ha totalmente guardato altrove. Con la situazione in Ucraina, che diventava sempre più calda, il quadrante del mar meridionale cinese, che ad oggi diventa sempre più caldo, per quanto gli Stati Uniti sono e siano una potenza egemonica, non possono dividersi su tre fronti totalmente diversi, cioè Asia d’Europa Africa. Obama, ma anche Clinton prima di lui, hanno sanzionato pesantemente il Sudan. È stato uno dei Paesi più sanzionati al mondo dall’amministrazione statunitense e il congresso quando doveva approvare queste sensazioni era quasi all’unanimità tra democratici e repubblicani. Quindi non è che Washington non ha interesse, semplicemente c’è una convergenza storica, e forse qualche attore esterno sta approfittando di questo caos internazionale, per far sì che gli Usa abbiano le mani legate”.

  • Cosa può fare l’Europa?

L’Europa avrebbe bisogno di bisogno di fare un po’ di sano “marketing” nei confronti dei pezzi africani. In virtù di un passato burrascoso e spinoso lo abbiamo bisogno di instaurare un rapporto alla pari con i paesi africani. Paradossalmente stiamo lasciando noi europei, in quanto cittadini europei e in quanto di istituzioni europee, l’Africa nell’abbraccio della Cina e della Russia”.

  • Anche se in questo momento l’epicentro è il Sudan, c’è il rischio che l’instabilità si trasferisca altrove?

Il conflitto del Sudan probabilmente si ripercuoterà nei prossimi anni e si avrà una situazione come la Libia. Non credo si allargherà ma penso si tornerà a un Sudan del Nord e un Sudan del Sud”.