Nella rubrica di Tag24 “Non solo trentatrè”, curata dal Prof. Enrico Ferri e dal Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli, oggi affrontiamo il delicato tema dell’Aids, grazie al contributo del Prof. Guido Silvestri, laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Ancona. Specializzato in Medicina Interna e Immunologia Clinica (Firenze 1990) e Patologia (U. Penn 2001). Eminente studioso di patologia comparata della Georgia Research Alliance, nonché presidente e professore del Dipartimento di Patologia e Medicina di laboratorio presso la Emory University School of Medicine. Capo della Divisione di Microbiologia e Immunologia presso l’Emory National Primate Research Center. Executive Associate Dean of Research Strategy nella Scuola di Medicina. Tra i maggiori esperti nel campo della patogenesi, prevenzione e terapia dell’AIDS.
Aids: il punto su malati e vaccino. Intervista al Prof. Guido Silvestri
Professor Silvestri, qual è la differenza tra HIV e AIDS?
“Con l’avvento del COVID-19, spesso si dimentica che circa 40 milioni di persone vivono con il virus dell’immunodeficienza umana o HIV. L’HIV rappresenta una delle sfide più gravi per la salute pubblica mai affrontate. Ha portato morte, sofferenze e uno stigma con stereotipi dannosi e retorica sociale non solo nella comunità gay, ma ha ucciso 33 milioni di persone in tutto il mondo.
I tempi sono cambiati. Ora, la maggior parte delle persone non muore a causa del virus. Grazie ai continui progressi della medicina nei farmaci, l’HIV può ora essere visto come una malattia cronica che permette di vivere quasi normalmente.
L’HIV è un virus che attacca il sistema immunitario del corpo, in particolare i linfociti delle cellule T o le cellule CD4. L’AIDS è un insieme di sintomi e malattie che possono svilupparsi quando l’HIV non viene curato.
Rispetto ai 2 milioni di persone nel 2004 e ai 1,4 milioni nel 2010, i decessi correlati all’AIDS sono stati ridotti del 68%, con circa 650.000 morti in tutto il mondo nel 2021.
Nel 2020 c’erano circa 38,4 milioni di persone con l’HIV. Di questi, 36,7 milioni erano adulti e 1,7 milioni erano bambini (meno di 15 anni). Inoltre, il 54% erano donne e ragazze.
Si stima che 1,5 milioni di nuove persone abbiano contratto l’HIV nel 2021, segnando un calo del 32% delle nuove infezioni da HIV dal 2010.
Secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia dal 2012 si è osservata una diminuzione costante delle nuove diagnosi HIV. Nel 2021 sono state 1.770 le nuove diagnosi di infezione da HIV in Italia pari a un’incidenza di 3 nuove diagnosi ogni 100.000 residenti, valore al di sotto della media stimata nei Paesi dell’Unione Europea (4,3 casi per 100.000 residenti)”.
Evoluzione della terapia contro l’Aids
Quali sono state le tappe importanti nella terapia dell’Aids?
“Le grosse conquiste terapeutiche sull’Aids cono avvenute a metà degli anni Novanta, con la scoperta dei farmaci antiretrovirali e tra il 2005 e 2010 in cui si è riusciti ad usare questi farmaci un po’ dovunque ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Grazie a questi fatti si è ridotta molto la morbidità e mortalità.
il termine continuum di cura dell’HIV si riferisce alla sequenza di passaggi che una persona affetta da HIV compie dalla diagnosi alla diminuzione della carica virale a livelli non rilevabili. Le fasi sono:
- Diagnosi di HIV
- Accesso del paziente al sistema sanitario
- Inizio ART (terapia antiretrovirale)
- Mantenimento dei protocolli di trattamento
- Soppressione dell’HIV a livelli non rilevabili nel sangue.
Attualmente il quadro generale della popolazione affetta dal virus è il seguente:
• L’85% è a conoscenza del proprio stato di sieropositività. Il test dell’HIV è un passaggio essenziale per la prevenzione, il trattamento, l’assistenza e i servizi di supporto.
Senza la diagnosi è praticamente impossibile fare altro. Inoltre, tale conoscenza renderà meno probabile un eventuale contagio con partners non infetti, ai quali si potranno fornire misure di prevenzione.
Convincere comunque le persone a prendere precauzioni non è sempre un compito facile in quanto implica cambiamenti sociali spesso radicali, convinzioni, atteggiamenti e comportamenti.
Da non sottovalutare il fatto che il restante 15% rappresenta circa 5,9 milioni di persone che non sono a conoscenza di avere l’HIV.
• il 75% ha iniziato la terapia antiretrovirale (ART): trattamento di persone infette dal virus con farmaci anti-HIV. Il trattamento standard consiste in una combinazione di farmaci (spesso chiamati “terapia antiretrovirale altamente attiva” o HAART) che sopprimono la replicazione dell’HIV. Le terapie ART hanno spostato l’HIV nel regno delle malattie croniche e hanno dato alle persone infettate un’aspettativa di vita quasi normale. Ai pazienti può essere somministrata una combinazione o un “cocktail” di farmaci da prendere ogni giorno.
• Il 68% presenta una carica virale non rilevabile. Come dicevamo, l’obiettivo finale della terapia ART, è di combattere il virus, e portarlo a livelli non rilevabili (quando la quantità di virus è così bassa che il paziente con l’HIV rimane in buona salute e ha una possibilità notevolmente ridotta di trasmetterlo ad altri). Il virus resta dormiente nell’organismo, e resterà tale solo grazie al mantenimento della terapia.
Molti esperti di HIV ritengono di poter alla fine avvicinarsi all’eradicazione del virus entro il 2030 con un obiettivo noto come “95-95-95”. Ci si prefigge di diagnosticare l’HIV nel 95% dei pazienti infetti, il 95% di essi riceverebbe un trattamento in grado di sopprimere il virus nel 95% dei casi.
Oltre ai farmaci parte dei protocolli ART, vi sono altre metodiche utilizzabili in casi particolari?
“Un approccio importante di prevenzione è rappresentato dall’uso di PrEP o profilassi pre-esposizione. Questo trattamento si basa sulla somministrazione di farmaci, usati per curare l’HIV, iniettabili e a lunga durata d’azione, a persone che non hanno l’HIV ma che sono ad alto rischio di contrarre il virus. Possono anche essere usati dispositivi particolari, quali un anello vaginale per le donne per evitare la trasmissione del virus ai neonati durante il parto. Recenti studi hanno inoltre dimostrato che la somministrazione alle madri di un farmaco antiretrovirale chiamato azidotimidina (AZT) durante il terzo trimestre di gravidanza ha determinato una marcata diminuzione della velocità di trasmissione virale madre-neonato.
Infine, ci sono gli anticorpi monoclonali. L’uso ed azione di questi farmaci mimica quello del vaccino. Un vaccino agisce stimolando la formazione di anticorpi nell’individuo. In assenza appunto di un vaccino, si può supplire a questo effetto finale, somministrando anticorpi in maniera artificiale, anticorpi già preparati. La ricerca sui monoclonali è importante perché ha quantomeno dimostrato cosa servirebbe da un eventuale vaccino, quali tipi di anticorpi il vaccino dovrebbe generare. Gli anticorpi monoclonali possono essere usati o a scopo profilattico o in alternativa alla terapia giornaliera retrovirale classica. In questo caso si avrà il vantaggio di doversi sottoporre ad un ciclo terapeutico ogni tre o quattro mesi. Queste metodiche di somministrazione creano però qualche dubbio legato sia alla diminuzione di concentrazione che nel tempo varia da paziente a paziente, sia alla potenzialità di creare ceppi virali più resistenti”.
Vi è una standardizzazione nei trattamenti?
“Purtroppo, nonostante tutti i progressi, ricerche, nonché anni di sforzi significativi da parte della comunità sanitaria globale, delle principali organizzazioni governative e della società civile, troppe persone con HIV o a rischio di HIV non hanno ancora accesso a strutture diagnostiche, di prevenzione o a trattamenti.
Troppo alte sono ancora le differenze nella riduzione di nuove infezioni da HIV, nell’accesso alle cure, nelle casistiche di decessi tra zone geografiche diverse. Troppe persone e popolazioni vulnerabili sono state lasciate a se stesse. Vi è una prevalenza geografica nella distribuzione della malattia. La maggioranza delle persone con HIV si trova in paesi a basso e medio reddito con l’Africa sub sahariana e il sud est asiatico tra i centri più colpiti. Questi i dati del 2021: 20,6 milioni di persone con HIV (53%) nell’Africa orientale e meridionale, 5 milioni (13%) nell’Africa occidentale e centrale, 6 milioni (15%) in Asia e Pacifico e 2,3 milioni (5% ) nell’Europa occidentale e centrale e nel Nord America.
L’epidemia di HIV non colpisce solo la salute degli individui, ma anche le famiglie, le comunità e lo sviluppo e la crescita economica delle nazioni. Molti dei paesi più colpiti dall’HIV soffrono anche di altre malattie infettive, insicurezza alimentare e altri gravi problemi.
A differenza del Covid, che colpisce ed è prevalentemente letale in persone anziane o debilitate da altre patologie, l’Aids è ancora una malattia dei giovani, pazienti sotto i 50 anni, bambini e adolescenti.
Chiaramente, a tutt’oggi, rimane il fatto che l’individuo deve fare una terapia continua, per tutta la vita, la prevenzione va implementata, il monitoraggio e le cure per evitare il contagio materno-fetale vanno applicate. Cose particolarmente difficili in paesi instabili, con guerre e carestie, povertà estrema, con scarse risorse, e con strutture assenti. Proprio in questi posti si abbatte principalmente il flagello dell’Aids”.
Le sfide del futuro: dalla cura al vaccino
Cosa dobbiamo augurarci per il futuro?
“Come comunità scientifica, come società abbiamo tre sfide:
- Implementare e mettere a disposizione di tutti i pazienti i farmaci esistenti nella terapia antiretrovirale, migliorandone l’efficacia e durata d’azione in modo da poter prendere il farmaco una volta la settimana, una volta al mese (rispetto all’uso giornaliero).
- La seconda sfida fondamentale è quella del vaccino. Come in qualsiasi malattia infettiva, se si riuscirà creare un vaccino efficace, la malattia specifica diventerà facilmente controllabile.
- La terza sfida è rappresentata da una cura vera e propria, per far si che la persona infettata non sia più tale e che il virus non sia più presente nemmeno in forma latente: che si abbia quindi una guarigione completa.
Questa è una sfida intellettuale, sociale e scientifica. Gli antivirali a vita sono una condanna senza alternativa per il paziente. C’è poi il discorso dello stigma per cui la persona infettata, lo è per sempre; se riuscissimo a eliminare la presenza del virus sarebbe un beneficio anche psicologico e sociale enorme per queste persone. Esiste infine il problema di tutte le persone che si trovano in zone con scarso supporto sanitario.
Ed infine i costi che la società deve sostenere per il continuo e necessario uso di farmaci antivirali.
La cura, come l’eventuale vaccino, sono realtà difficili da raggiungere. Purtroppo, l’HIV presenta enormi differenze col Covid. Ha una variabilità e capacità di mutare geneticamente enormemente superiore. Il virus presenta tempi di latenza e capacità di rendersi “invisibile” tali da rendere il sistema immunitario molto meno reattivo e capace di reagire, ha una molecola complessa e difficile da neutralizzare. Queste sono le ragioni che spiegano la difficoltà che si incontrano per sviluppare nuovi trattamenti terapeutici e vaccini.
Avere un vaccino poi non garantisce che tutti saranno disposti a farne uso.
Preconcetti, paure, ignoranza, discriminazione, disuguaglianze sociali e scarsa fiducia, sono sempre ostacoli difficili da superare”.
Prossimo articolo
Il prossimo articolo della rubrica Non solo trentatré si intitolerà “Arrivederci e grazie! Perché tanti giovani medici se ne vanno dall’Italia?” e sarà pubblicato il 3 Maggio. L’articolo presenterà un’intervista al professor Roberto Carlo Rossi, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Milano.