Nel conflitto in Ucraina, alcune manovre passano inosservate. Altre lasciano molti interrogativi aperti: fra questi, c’è il ruolo della Cina. Nella trasmissione Base Luna chiama Terra su Radio Cusano Campus il professor Luciano Bozzo, professore di Relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze, ha parlato di Pechino e delle strategie messe in atto dal Dragone per cercare di diventare il primissimo attore a livello mondiale.

Un ruolo per la Cina in Ucraina?

  • Professor Bozzo, qual è la situazione cinese nel conflitto in corso?

La situazione della Cina in Ucraina è particolarmente complessa. Indubbiamente la leadership cinese vorrebbe giocare il ruolo del grande pacificatore, per quello che riguarda la guerra in Ucraina. Però si è messa in una posizione molto critica e ambigua. Da un lato è stato fatto un errore molto grave di valutazione da parte di Pechino prima dell’inizio della guerra: all’inizio del mese di febbraio dell’anno scorso, avendo riaffermato l’amicizia senza limite nei confronti di Putin, la Cina ha aperto una linea di credito politico-militare totale nei confronti della Russia e quindi di Putin che si è rivelata una mossa errata. I cinesi hanno creduto alle rassicurazioni di Putin, al fatto che l’operazione si sarebbe conclusa rapidamente con il successo sperato e voluto. E questo non si è realizzato.

  • Quanto è forte il rapporto fra Mosca e Pechino?

D’altra parte, la Cina e Xi continuano a vedere in Putin e nella Federazione Russa il loro più grande alleato in quel progetto di ridefinizione dell’ordine internazionale e, più nello specifico, del sistema di sicurezza europeo e non solo. E quindi, questo mette Xi in una posizione difficile: si trova in qualche modo legato ad un alleato per lui importante e decisivo per molti aspetti, in questo grande progetto di ridefinizione globale. Ma dall’altro lato questo alleato si è rivelato sul campo militarmente molto più debole di quanto i cinesi potessero aspettarsi, avviando una guerra che si è prolungata (e che, a mio avviso, ancora si prolungherà), con il rischio di non giungere ad un  esito che non sia soddisfacente per nessuna delle parti in causa. Si tratta poi di una guerra che, in più, mette in discussione il principio dell’inviolabilità dei confini della sfera di sovranità nazionale che la Cina in ogni sede diplomatica ha sempre riaffermato come uno dei cardini della propria politica estera nel corso degli ultimi anni. Quindi, la volontà cinese di porsi come mediatore e pacificatore, quel tentativo che ha avuto successo in Medio-oriente fra Iran e Arabia Saudita.

Pechino vuole essere Washington

“Questa volontà cinese – prosegue il professor Bozzo – si scontra contro difficoltà oggettive contro soprattutto la resistenza degli Stati Uniti, della Nato e di tutti quei Paesi uniti nell’aiuto all’Ucraina che si sono opposti alla volontà e al tentativo di Putin di raggiungere i propri obiettivi sul campo”.

  • Il mondo guarda a Pechino come nuovo centro mondiale?

Noi stiamo vivendo momento critico in cui vi è una disperata ricerca di un nuovo ordine mondiale e di una sua ridefinizione. Quel mondo nato con la fine della seconda guerra mondiale, con la vittoria americana e degli alleati occidentali e dell’Unione Sovietica e che poi aveva registrato apparentemente un consolidamento nei primi anni successivi alla fine della Guerra Fredda. Fallito il tentativo degli Stati Uniti di ricostruire ordine mondiale ancor più incentrato sulla supremazia americana, si è aperta nuova fase di ridefinizione di questo ordine. Una fase caratterizzata dall’enorme crescita economica della Repubblica popolare cinese che, di conseguenza, vorrebbe una rinegoziazione dell’ordine mondiale, riconoscendo a Pechino lo stesso peso di Washington, in uno status paritario: i cinesi pensano a una riedizione di un sistema internazionale che, se non bipolare, sia un sistema multipolare ma centrato su questi due attori che dovrebbero riconoscersi reciprocamente lo status analogo da un punto di vista di peso politico. La politica di sicurezza cinese, in particolare da quando la Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale, mira proprio al raggiungere e a vedersi riconosciuto questo status.

  • Ma la Cina non è la Russia, o meglio, l’Unione Sovietica…

Gli Stati Uniti non vogliono concedere alla Cina la stessa posizione che comunque riconoscevano all’URSS per una serie di motivi: i cinesi infatti sono attori diversi, extraeuropei e lontani dalle radici culturali europei – che non era del tutto vero per l’Unione Sovietica – e non hanno sfere di influenze politiche ed economiche separate rispetto all’occidentale; perché il Dragone è un gigante commerciale, un grande attore nella globalizzazione. Ciò mette la Cina in una situazione diversa, più pericolosa in ottica americana.

  • Emmanuel Macron e Ignacio Lula da Silva: Capi di Stato che sono tornati da Pechino da poco… Nuovi “vassalli”, per citare proprio il Presidente francese?

Nel gioco del nuovo ordine mondiale, intervengono una serie di altri attori. Fra questi il Brasile di Lula, non solo per una spinta di quel Paese, ma anche per una spinta del Presidente brasiliano e di quella parte della politica brasiliana che Lula rappresenta, e che è critica verso un ordine mondiale incentrato su Washington. Il Brasile si avvicina alla Cina, sostenendone l’agenda perché è nell’interesse di Brasilia. Diversa la posizione della Francia: la posizione di Macron affonda le radici da un lato nelle tradizioni golliste e, quindi, nella volontà francese di giocare un suo specifico ruolo in quanto attore globale e comunque giocare un ruolo che sia più o meno indipendente rispetto a quello degli Stati Uniti, di porsi quindi come terza parte o come uno dei poli del sistema multipolare. Ma la posizione di Macron si spiega anche pensando alle difficoltà interne del Presidente francese, a causa delle forti contestazioni che provengono dalla società, non solo nei confronti della politica economica e fiscale di Macron, ma che si allargano anche alla figura del Presidente, contro la sua azione tanto interna quanto per certi versi internazionale. Macron ha cercato di rilegittimarsi: ha cercato anche di proporsi come mediatore, proposta respinta da Mosca, in quanto Parigi partecipa al conflitto al fianco dell’Ucraina.

  • Cosa ha ottenuto Macron nella visita a Pechino insieme a Ursula Von der Leyen?

Dal punto di vista del risultato politico, cioè l’affermazione di una autonomia strategica non solo di Parigi ma anche dell’Europa non è tornato con molti risultati. In realtà gli unici risultati davvero rilevanti riguardano gli interessi economico-commerciali francesi che portavano Macron a Pechino per la firma di contratti importanti. Risultati che hanno fatto bene sì alla Francia, ma anche alla Cina e alla Russia, che sono ben contente di vedere un’Europa potenzialmente o realmente divisa intorno ad agende diverse e non compatibili. Da un lato Paesi come la Polonia, la Finlandia e i Paesi Baltici, fieri oppositori di Mosca e decisamente accanto a Kyiv, Dall’altra agende come quelle di Francia, Spagna e Germania molto più prudenti e disponibili ad aperture nei confronti di Mosca. Evidentemente l’approfondirsi di fratture di questo genere è ciò che può augurarsi Putin – e forse anche Xi -per ottenere un esito del conflitto che sia più favorevole possibile a Mosca e che non metta in imbarazzo Pechino.