Proiettili vaganti, granate, attacchi ed esplosioni. La prima giornata di guerra intestina nel Sudan non lasciava presagire nulla di buone. E infatti l’escalation del conflitto ha portato oltre cinquanta morti e quasi seicento feriti, mentre il mondo guarda con attenzione l’evolversi del colpo di stato in Sudan e la diplomazia lavora su Twitter, come anche sottotraccia.

Gli scontri tra i due eserciti continuano nei pressi del quartier generale delle Forze armate, in pieno centro a Khartum. Una delle due torri dell’edificio è stata data alla fiamme, secondo quanto riportano le Forze armate. Fonti aeroportuali egiziane hanno segnalato la chiusura dello spazio aereo sudanese.

Il bilancio non è ancora chiaro, le notizie ufficiali hanno difficoltà ad arrivare. Nella notte tra sabato 15 e domenica 16 aprile, fonti dell’Onu hanno parlato di circa 30 morti e 400 feriti, secondo quanto appreso dal New York Times. Secondo le fonti ascoltate dal quotidiano americano (alcuni funzionari delle Nazioni Unite), tra le vittime ci sarebbero anche 3 dipendenti del Programma Alimentare Mondiale, uccisi a Darfur.

Gli scontri tra Rfs e l’esercito regolare

La guerra interna è scoppiata tra le Forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) del generale Mohamed Hamdane Dagalo e l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhane sabato 15 aprile. Le forze “ribelli” erano riuscite a conquistare la sede presidenziale, l’aeroporto di Khartoum e altre strutture vitali della città. Notizie, queste, poi smentite dall’esercito, mentre l’aviazione ha esortato tutte le persone a rimanere in casa. La compagnia di bandiera dell’Arabia Saudita Saudia ha dichiarato che uno dei suoi aerei, con passeggeri ed equipaggio a bordo in attesa della partenza, è stato “esposto a danni da arma da fuoco“. 

Le notizie e le richieste di cessate il fuoco, come anche le critiche per il conflitto, rimbalzano sui social. Il segretario delle Nazione, António Guterres, ha condannato fortemente gli scontri in un comunicato e su Twitter.

Guterres ha anche aperto canali diplomatici con diversi leader per tentare una pace che però sembra dura a nascere, fra cui il presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), Moussa Faki Mahamat; il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah Al Sisi, e il tenente generale Dagalo, noto anche come Hemeti.

Colpo di stato in Sudan, almeno 56 morti e quasi seicento feriti

Il numero totale di morti tra i civili è di 56“, ha fatto sapere il Comitato centrale dei medici sudanesi, aggiungendo che si registrano “decine di morti” tra le forze di sicurezza, ma non sono state incluse nel bilancio delle vittime.

L’appello di Usa-Arabia Saudita-Emirati: “Stop alle violenze”

Il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, e i ministri degli Esteri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, Faisal bin Farhan e Abdullah bin Zeid Al Nahyan, hanno chiesto uno stop alle violenze.

“Abbiamo convenuto che le parti devono cessare immediatamente le ostilità senza precondizioni. Esorto il generale Abdel Fattah Burhan e il generale Mohammed Daglo ad adottare misure attive per ridurre le tensioni e garantire la sicurezza di tutti i civili”

I tre ministri sottolineano che il ritorno ai negoziati è l’unica via d’uscita da questa situazione. 

La Cina: “Evitare escalation”

Anche la Cina lancia messaggi di ‘pace’ per evitare una ulteriore strage. I suoi occhi seguono con “grande attenzione” la guerra nel Paese africano. Pechina ha infatti esortato i due schieramenti a “concordare un cessate il fuoco e ad impedire che la situazione degeneri“. “La Cina auspica un dialogo tra le parti per un ​​processo di transizione politica“, si legge in una dichiarazione diffusa dal ministero degli Esteri.

Egitto e Sud Suda: “Scegliere il dialogo”

L’animosità che vige tra le strade di Khartum, ma in realtà in tutto il Sudan, preoccupa da vicino i paesi confinanti. Soprattutto l’Egitto e il Sud Sudan. I governi del Cairo e di Giuba si sono proposti di mediare fra le forze che stanno combattendo a Khartum. Dopo una telefonata tra il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, e il suo omologo sudsudanese, Salva Kiir, i due Paesi hanno invitato entrambe le parti a “scegliere la voce della ragione e il dialogo pacifico“.