Rischia di essere condannato a 14 anni di carcere, Alex Pompa, il 22enne che il 30 aprile 2020 uccise a coltellate il padre violento per difendere la madre a Collegno. Secondo il legale che lo sostiene, l’avvocato Claudio Strata, con l’omicidio il giovane evitò una strage familiare. Per questo, secondo lui, non andrebbe condannato. Non è dello stesso avviso l’accusa, secondo cui non si può parlare di legittima difesa.
Uccise il padre per difendere la madre: ora Alex Pompa rischia 14 anni di carcere
Ogni 72 ore in Italia c’è una strage di famiglia, con donne assassinate dal marito o dal compagno. Un ragazzo è morto per non avere avuto la stessa prontezza di Alex. Vicende tremende che sono sovrapponibili a quella dei Pompa. Se non partiamo da qui, non riusciamo a capire cosa è successo,
ha dichiarato questa mattina l’avvocato Claudio Strata nell’ambito del processo d’Appello iniziato nei confronti del suo assistito, il 20enne Alex Pompa, accusato di aver ucciso a coltellate il padre nell’aprile del 2020. Un gesto estremo, compiuto per difendere la madre. Per questo in primo grado il giovane era stato assolto. La sentenza aveva stabilito che non avesse colpa: se non avesse ucciso, sarebbe stato ucciso o avrebbe lasciato uccidere altri. Il giorno dell’omicidio Giuseppe Pompa aveva chiamato la moglie per ben 101 volte. Poi, dopo averla seguita al supermercato in cui lavorava ed aver visto un giovane poggiargli una mano sulla spalla, ingelosito, l’aveva aspettata a casa.
“Ci avrebbe ucciso tutti”, aveva dichiarato uno dei figli della coppia. Se non fosse stato per la lucidità del fratello, Alex, che l’aveva colpito con oltre 30 coltellate, allertando poi i carabinieri. “Venite, ho ucciso mio padre”, aveva detto loro. Per lui, già in primo grado, erano stati chiesti 14 anni di reclusione. “Che Giuseppe Pompa fosse un padre e un marito padrone, aggressivo, ossessivo è cosa certa. Ma non meritava di morire, non meritava di essere ucciso. Aveva bisogno di aiuto psicologico”, aveva sostenuto il pm Alessandro Aghemo durante la requisitoria. Per l’accusa non si sarebbe trattato di legittima difesa. Ecco perché il giovane – che, dopo aver preso il cognome materno, sta cercando di costruirsi un futuro, studiando e lavorando – è stato chiamato a ripresentarsi davanti ai giudici.
“Legittima difesa significa reagire a un’aggressione, qui invece c’è un’inversione della situazione. Alex ha agito in anticipo e si è armato e ha colpito una persona disarmata, sferrandogli il primo colpo alla schiena. Il primo di trentaquattro. C’è stato uno scontro tra uno che aveva un coltello e uno che non aveva nulla. Alex non si è difeso, ma ha aggredito”, ha detto Aghemo. Una versione dei fatti contestata dalla difesa. “Sono sconvolto quando sento dire che Giuseppe Pompa non avrebbe mai ucciso nessuno – ha ribadito l’avvocato Strata -. Come si fa a dire una cosa simile? Ci sono gli audio delle sue intemperanze, delle sue minacce, delle sue violenze verbali, che confermano le parole dei testimoni. Quello che sostiene il pubblico ministero è agghiacciante”.
Le parole dell’imputato
Il fratello e la madre di Alex si sono sempre schierati dalla parte del giovane che, fin dall’inizio, ha sostenuto di aver agito per difenderli dalla furia del padre che, dopo il rientro della madre dal lavoro, aveva preso a minacciarla e strattonarla, ancora prima che potesse raggiungere il portone di casa, perché colpito da una gelosia ossessiva. “Ho agito per difenderci, per difendere me, mia madre e mio fratello. Mio padre stava andando in cucina a prendere un coltello e io l’ho anticipato”, aveva sostenuto il 22enne davanti agli inquirenti, confessando il delitto. Se non venisse confermata la legittima difesa, potrebbe ora finire in carcere.