Perdita di memoria, difficoltà nel completare gli impegni presi, senso di confusione rispetto a tempi e luoghi. Sono questi alcuni dei segnali più importanti che spesso colleghiamo all’Alzheimer. Una malattia subdola, che colpisce milioni di persone nel mondo. Ma gli studi su questa patologia non si fermano e anzi, negli ultimi anni passi da giganti sono stati compiuti. Un nuovo studio sull’Alzheimer, condotto dagli scienziati del Karolinska Institutet, in Svezia ora dimostra che potrebbe bastare un esame del sangue per diagnosticare e prevenire la malattia.

Nuovo studio sull’Alzheimer: cosa hanno scoperto i ricercatori

L’Alzheimer è la forma più comune di demenza senile. Si tratta di una malattia che ha, in genere, un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per arrivare al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. I dati dimostrano che in Italia questa patologia colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e si stimano circa 500mila ammalati. Uno stato di confusione provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

Numeri importanti che portano i ricercatori di tutto il mondo a continuare a studiare questa, come tante altre malattie. Uno studio pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia e condotto dagli scienziati del Karolinska Institutet, in Svezia ha dimostrato che livelli ematici elevati di glicani, strutture costituite da molecole di zucchero, potrebbero essere collegati a un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Alzheimer.

Il gruppo di ricerca, guidato dal professor Robin Zhou, ha valutato la correlazione tra queste molecole e la probabilità di ricevere una diagnosi di malattia neurodegenerativa. I ricercatori hanno considerato i dati relativi a 233 partecipanti allo Swedish National Study on Aging and Care in Kungsholmen (SNAC-K). I campioni sono stati raccolti tra il 2001 e il 2004 e i volontari sono stati monitorati regolarmente per un follow-up di circa 17 anni. A così tanto tempo di distanza ora i ricercatori possono trarre conclusioni importanti.

Le dichiarazioni degli studiosi

“Il nostro lavoro – osserva Zhou – suggerisce che i livelli ematici di glicani subiscono alterazioni notevoli nel corso della malattia di Alzheimer. La combinazione di un test della memoria e un esame del sangue potrebbe pertanto rappresentare una strategia efficace, economica e minimamente invasiva per diagnosticare tempestivamente la condizione, il che aumenterebbe notevolmente l’efficacia dei trattamenti per i pazienti”.

Si tratta dunque di una fase preventiva e non curativa. La possibilità di riconoscere in anticipo le persone a maggior rischio di sviluppare malattie neurodegenerative è ovviamente molto importante. La prevenzione può salvare la vita, in ogni campo medico. Ma capita spesso che le persone si rifiutino di fare controlli anche per timore degli esami. Facilitare i metodi di screening è infatti un altro campo su cui gli studi stanno insistendo.

In questo caso si tratterebbe semplicemente di un esame del sangue. Il gruppo di ricerca ha infatti dimostrato che il livello di una certa struttura glicanica nel sangue, denominata N-acetilglucosamina bisecata, può essere utilizzato per prevedere il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. I glicani, spiegano gli esperti, sono molecole di zucchero che si trovano sulla superficie delle proteine.

“Un semplice modello statistico capace di considerare insieme i livelli di glicani e proteina tau nel sangue – aggiunge Sophia Schedin Weiss, collega e coautrice di Zhou – ha mostrato un’affidabilità dell’80% nel riconoscere i pazienti a rischio, circa un decennio prima della manifestazione di sintomi associati all’Alzheimer. Il nostro approccio potrebbe essere davvero importante nel rilevamento precoce della malattia”.