TARI: la tassa sui rifiuti è un tributo che serve per finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo i locali o le aree scoperte suscettibili di produrre tali rifiuti.

La TARI, in particolare, è stata introdotta a partire dall’anno 2014, in seguito alle previsioni normative contenute all’interno della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (c.d. Legge di Bilancio 2014).

Tale tributo ha sostituito la TARES (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi), che doveva essere pagata dai contribuenti nel 2013, e tutti i tributi che dovevano essere versati fino al termine del 2012, ovvero la TARSU, la TIA1 e la TIA2.

Perciò, la TARI è entrata a far parte della c.d. IUC (Imposta Unica Comunale), insieme all’IMU (Imposta Municipale Unica) e alla TASi (tributo per i servizi indivisibili), per poi essere scorporata da esse con la legge n. 160 del 27 dicembre 2019 (c.d. Legge di Bilancio 2020).

Come dicevamo in precedenza, la tassa sui rifiuti è dovuta dal soggetto utilizzatore dell’immobile o dal possessore (proprietario o titolare di usufrutto, uso, abitazione o superficie) in caso di detenzione breve dell’immobile, di durata non superiore a sei mesi.

In questa breve guida andremo a vedere tutti i fattori che compongono l’importo che i contribuenti dovranno andare a versare al proprio comune di appartenenza.

TARI: il presupposto e il calcolo della tariffa che devono versare i contribuenti

Secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia, il contribuente è obbligato al pagamento della TARI qualora sia in possesso o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani.

In merito, la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata evidenziando come faccia sorgere l’obbligo di versamento del tributo la potenzialità del locale o dell’area a produrre dei rifiuti, e non la semplice mancata utilizzazione, di fatto, degli stessi, per cui il contribuente decida per una sua scelta personale di non versare nulla nelle casse del proprio comune.

Per evitare di pagare la TARI, invece, il contribuente deve riuscire a provare l’inidoneità del locale o dell’area a produrre i rifiuti, in base alle sue oggettive condizioni di inutilizzabilità.

Se non riesce a fare questo, ogni contribuente sarà obbligato a versare la TARI, includendo nel calcolo della superficie dell’alloggio anche le pertinenze dei locali adibiti a civile abitazione, in modo tale che questi costi vadano ad incidere sulla quota fissa della tariffa dovuta in caso di “utenza domestica”.

Alla quota fissa, poi, si dovrà aggiungere il calcolo della quota variabile, la quale è composta dal numero degli svuotamenti e degli eventuali servizi che vengono richiesti all’ente che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, tenendo conto del numero degli occupanti, ma senza considerare i metri quadrati dell’abitazione.

Nel calcolo, invece, non devono essere aggiunte le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali che non siano detenute o possedute in via esclusiva.

La tariffa della TARI viene determinata con una deliberazione da parte del Consiglio comunale, in base ai costi che sono stati individuati e che sono stati classificati dalla stessa all’interno del piano finanziario, in modo da assicurare la piena copertura dei costi sostenuti.

La tariffa, in particolare, è commisurata sulla base dei criteri determinati dal “metodo normalizzato”, proposto e aggiornato a partire dall’anno 2020 dall’ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente).

Il calcolo, infine, viene effettuato in maniera diversa a seconda che si tratti di:

  • utenze domestiche – la quota fissa deve essere calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio e delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti;
  • utenze non domestiche – sia la quota fissa che la quota variabile devono essere calcolate moltiplicandole per la superficie assoggettabile a tariffa.