L’università di Torino torna a far parlare di sé. L’argomento sono le cellule staminali che questa volta sembra siano la soluzione per riparare il cuore danneggiato da un infarto. Dallo stress all’hiv, le cellule staminali sono importantissime per la cura del corpo umano. Stavolta l’argomento riguarda il cuore e il difetto degli infarti.
Si parla di editing genetico, ovvero di una revisione della catena genetica delle cellule staminali impiantate nel cuore per evitare le aritmie provocate dalle cellule immature e trapiantate su un tessuto adulto.
Il successo delle cellule staminali su un cuore affetto da infarto
Questa scoperta aiuterebbe a ridurre, quasi fino ad annullarli del tutto, i disturbi presentati nel paziente dopo il trapianto delle cellule staminali in un cuore affetto da infarto. A seguito del trattamento, durante il periodo di transizione della guarigione, nei pazienti si sono riscontrati una serie di effetti indesiderati come aritmie e possibili arresti cardiaci.
Secondo lo studio condotto, gli effetti indesiderati scompaiono quando al cuore malato si applicano delle cellule staminali revisionate e ingegnerizzate. Queste cellule seguono il movimento di contrazione solamente a seguito di uno stimolo elettrico che è quello che deriva dal peacemaker. Non seguono più movimenti spontanei e pertanto nei pazienti affetti da infarto non si registrano più aritmie o arresti cardiaci.
Le chiamano “immature” le cellule che vengono trapiantate, perché non hanno la possibilità di adattarsi ad un cuore adulto. Impiegano più tempo per maturare e completare il percorso di guarigione. Tutto ciò implica nel paziente un periodo di tempo di transizione difficile e caratterizzato da disturbi e fastidi continui. Proprio per questo motivo le cellule trapiantate subiscono un “editing” e vengono inserite nei tessuti cardiaci. Le cellule revisionate si adattano meglio, rispondono agli stimoli e annullano gli effetti collaterali a lungo termine di un infarto.
Il lavoro del team di ricerca
Il lavoro è frutto di uno studio co-coordinato da Alessandro Bertero, responsabile del laboratorio Armenise-Harvard di genomica dello sviluppo e ingegneria cardiaca presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, e dal professore Chuck Murry, direttore dell’Institute for Stem Cell and Regenerative Medicine dell’Università di Washington.
“Siamo stati sorpresi da quanti meccanismi inducano un battito spontaneo rapido nelle cellule immature: per ottenere delle cellule che seguano il ritmo del cuore adulto ci sono voluti ben quattro modifiche geniche, ed altrettanti anni di lavoro”, spiega la dottoressa Silvia Marchianò, prima firmataria dello studio.
“In studi tuttora in corso si sta valutando l’efficacia di questo trattamento in coorti precliniche più ampie. In base ai dati ottenuti finora siamo ottimisti che le cellule ingegnerizzate mantengano la loro capacità di ripristinare la funzione contrattile del cuore danneggiato da infarto o altre patologie genetiche che portano all’indebolimento della muscolatura cardiaca”, ha dichiarato il prof. Alessandro Bertero, giunto in Italia grazie al finanziamento della Fondazione Armenise-Harvard.
Progetti futuri e finanziamenti importanti
La notizia di questo risultato arriva in un momento davvero importante e pieno di soddisfazioni per il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze per la Salute dell’Università di Torino. È in concomitanza con la pubblicazione dello studio che si apprende lo stanziamento di oltre 7 milioni di euro da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca per l’ateneo piemontese. Il successo è stato ottenuto grazie al progetto Expert (Excellence Platform for Engineered Cell Therapies), un programma quinquennale (2023-2027) che si dedica sullo studio delle cellule antitumorali già convalidate nella pratica clinica.