La storia del piccolo Enea ha fatto rapidamente il giro di Italia. Domenica mattina, infatti, una mamma ha scelto di affidare la vita del suo bambino alla Culla della vita del Policlinico di Milano. Il piccolo Enea, trovato in ottime condizioni di salute, si trova ora al Mangiagalli di Milano.
Piccolo Enea, Maria Rachele Ruiu: “una storia commovente che riporta un po’ di verità sulla vita nascente”
La storia del piccolo Enea, affidato dalla sua mamma a una Culla per la vita, ha fatto in poche giro di Italia. La notizia ha preso a circolare infatti dopo l’appello del direttore dell’ospedale Mangiagalli che si è pubblicamente rivolto alla madre, la cui identità è anonima, affinché possa pensare di tornare sui suoi passi. L’annuncio, poi ripreso da Ezio Greggio, ha scatenato una vasta polemica social: il messaggio è stato infatti giudicato inadeguato e lesivo della scelta di una madre forse in difficoltà.
La redazione di TAG24 ha commentato l’accaduto con Maria Rachele Ruiu, portavoce nazionale di ProVita & Famiglia, associazione che si batte da anni per la «difesa della vita, contro la cultura della morte». Ruiu stessa combatte da anni contro l’aborto, da lei definito «una grande fregatura per le donne».
Maria Rachele Ruiu, cosa ne pensa della storia del piccolo Enea?
Credo sia una storia molto commovente. Enea non è stato abbandonato, ma affidato. Questa storia riporta un po’ di verità sulla vita nascente. Quel bambino poteva finire in modo diverso, poteva non nascere a causa di un aborto. Invece è oggi la storia di un percorso di solitudine finito nella vita e non nella morte, è il racconto di una società che si prende cura delle persone, soprattutto di quello più piccole. Penso sarebbe bello se la società avesse sempre questo sguardo sulla maternità e rassicurasse le mamme sul fatto che qualcuno si prenderà cura del loro figlio. Questa notizia deve spronare tutti: d’altronde tutti hanno accolto il fatto come qualcosa di bello, nessuno ha detto che questo bambino doveva essere abortito. La bella notizia è che il piccolo Enea c’è, mentre tanti altri piccoli non ci sono.
Lei parla di solitudine: nella sua esperienza sia come madre che come attivista, in cosa consiste questa solitudine? In cosa le donne sono lasciate sole?
Provo a spiegarmi con una similitudine. La nonna di mio marito mi raccontava della gravidanza alla sua epoca e di tutto il movimento che c’era intorno alla maternità. Prima, quando partoriva la donna, tutta la famiglia e le persone attorno si muovevano per darle sostegno. La maternità era un evento sociale. Oggi, con l’avvento dell’aborto e della contraccezione una donna che rimane incinta si sente dire che non è stata attenta. Se decide poi di tenere il figlio, la società le dà il messaggio che è una sua scelta di cui dovrà assumersi la responsabilità. Siamo in una società dove è quasi preferibile la scelta dell’aborto invece che la maternità. In questo senso la storia splendente del piccolo Enea è una notizia che interessa non solo alla madre, ma a tutti noi.
Come ha giudicato gli appelli social fatti alla mamma per farla tornare sui suoi passi?
L’adozione non dà figli a chi non ce li ha ma è istituto speciale e prezioso al servizio di bambini feriti: restituisce loro ciò che una tragedia ha tolto, cioè mamma e papà. Benedetti i genitori adottivi che, quando accolgono un bimbo, lo accolgono sapendo che porta questa ferita profonda dell’abbandono. Molto probabilmente questi annunci sono figli di questa verità. Non giudico questi appelli come giusti o sbagliati, forse sull’onda dell’emozione qualcuno è stato imprudente, mal posto.. In ogni caso la storia di Enea smentisce una bugia del nostro secolo, ovvero il fatto che il legame tra il bambino e la madre non serva e che una separazione tra i due sia facile. Mi riferisco ovviamente al dibattito sulla maternità surrogata. La mamma di Enea è stata mamma fino alla fine e il legame profondo è sottolineato dalla sua richiesta di aiuto, come si percepisce nella lettera lasciata.
Questa storia ci racconta oggi che la vita vale la pena sempre. È la storia di un percorso di maternità di solitudine che porta alla comunione e alla speranza. La presenza delle Culle della vita – che dovrebbero essere anche di più – danno alle mamme la notizia che la società prenderà cura dei loro figli.
L’associazione ProVita & Famiglia promuove la diffusione delle Culle?
La ProVita e Famiglia si occupa soprattutto di diffondere la consapevolezza della loro esistenza ma non abbiamo culle “nostre”. Le culle sono però fondamentali, danno il messaggio che i bambini sono preziosi per la nostra società. Il massimo è chiaramente che un figlio stia con la sua mamma e il suo papà: quando questo non può avvenire, è molto meglio che il bimbo affidato a una culla piuttosto che essere abortito.
I recenti dati demografici dell’Istat hanno denunciato il nuovo record negativo di nascite nel nostro Paese. Cosa ne pensa?
Sono convinta che il calo della natalità sia dovuto anche all’assenza di uno sguardo che riconosca l’umanità dell’altro: l’altro mamma, l’altro donna, l’altro bambino. Pensiamo alle donne a cui viene richiesto di tornare a lavoro dopo tre mesi dal parto. Anche lo Stato, di fronte a una grande difficoltà delle donne nel coniugare lavoro e famiglia, deve fare di più. Mi viene in mente il Fondo per la vita nascente del Piemonte: chissà quali potrebbero essere gli effetti se questo fondo fosse istituzionalizzato. O quanti Enea potrebbero essere salvati. Si tratta di un’emergenza che dovrebbe essere affrontata in modo strutturale, ma non penso i motivi siano solo economici. Alla base deve esserci il messaggio che l’aborto non è preferibile alla nascita, che si devono rispettare le libertà a 360gradi, la libertà della mamma e quella del bambino di nascere.
Qual è la sua posizione in merito alla maternità surrogata?
Io penso che i bambini non si vendono, non si comprano, non si cedono a terzi. Io non credo nella maternità solidale: ci crederò solo quando Nicole Kidman deciderà di partorire un figlio per me. Pure se lo facesse, comunque, sarebbe ingiusto. Gli appelli social di questi giorni forse sono stati di imprudenti ma raccontano del legame che si crea tra la mamma e il bambino durante la gestazione. Tutto questo viene scartato dalla maternità surrogata. Io penso che nessun adulto, neanche se eterosessuale, abbia diritto a un figlio. Sono molto indignata dal paragone tra utero in affitto e adozione perché c’è una differenza abissale. L’adozione è un istituto per dare a un bambino ciò che una tragedia ha tolto. Nell’utero in affitto la ferita è creata a tavolino con il contratto dai committenti. Sono assolutamente contraria, spero diventi reato universale e vengano punite le coppie che ricorrono all’estero.
E cosa pensa dello stop al riconoscimento dei figli delle famiglie omogenitoriali?
I diritti dei bambini già ci sono: sono state dette un sacco di bugie, anche dal New York Times che ha scritto che questi bambini in Italia non hanno codice fiscale, pediatra, scuola. È una bugia. Laddove ci dovessero essere dei diritti che oggi non ci sono, ci penserà il tribunale dei minori a riconoscerli. Cosa diversa dalle pretese degli adulti. Io sono contraria anche all’adozione per le coppie omosessuali: per me l’adozione richiede una mamma e un papà. Se posso, mi spiego meglio e vado oltre.
Prego.
Io sono in un percorso oncologico. Nella vita avrei desiderato moltissimi figli, invece ne ho due e purtroppo ho perso un bimbo in gravidanza. Oggi io non posso adottare: lo Stato italiano, tra una coppia di genitori sani e una in cui la mamma ha un tumore e rischia delle recidive, preferisce dare l’adozione alla prima coppia. Io, Maria Rachele, capisco la scelta che guarda al meglio per il bambino perché non esiste un diritto egoistico a un figlio. È una ferita per me non avere più figli? Profondissima. Mi farà soffrire ancora? Sì. Ma la mia sofferenza e il mio dolore non possono farmi pretendere di di adottare un bambino che ha già vissuto un trauma. È una pretesa assurda: si vogliono i bambini perché questi riempiano i nostri dolori. Ma i bambini non nascono per questo, e non devono essere utilizzati per questo.