È stata la novantesima telefonata, quella intercorsa alla vigilia di Pasqua tra Papa Francesco e Michele Ferri, l’informatico pesarese con cui il Pontefice ha stretto una profonda amicizia dopo l’omicidio del fratello Andrea nel 2013. Aggiornando il 52enne sulle sue condizioni di salute dopo il ricovero al Gemelli dello scorso marzo, il Papa avrebbe parlato del suo malore, ammettendo di essersela vista brutta e di essere arrivato incosciente in ospedale. Stando alle parole dell’uomo, ora però Bergoglio starebbe molto meglio.

Papa Francesco sul malore prima del ricovero: “Me la sono vista brutta”

A riportare il contenuto della telefonata avvenuta tra il Papa e Michele Ferri alla vigilia di Pasqua è il Resto del Carlino. I due hanno contatti dal 2013. Dopo essersi conosciuti in circostanze spiacevoli, in seguito all’omicidio di Andrea Ferri, fratello del 52enne, il Pontefice non avrebbe mai mancato di chiamare la famiglia di Pesaro per le festività. “Sono ancora vivo, mi ha detto”, ha riferito Michele al quotidiano bolognese, facendo un riassunto della chiamata. “Ha esordito così e io stavolta ho sentito una voce in forma, squillante e serena, meglio dell’ultima volta, allora mi era parso un po’ affaticato”, ha aggiunto, riferendosi al 3 gennaio scorso, quando il Papa lo aveva chiamato per fargli gli auguri di compleanno.

“Gli ho detto: ci hai fatto prendere un bello spavento! Lui mi ha spiegato che era arrivato incosciente in ospedale. ‘Bastavano alcune ore in più e non so se la raccontavo’, mi ha detto”, prosegue l’uomo, informatico di professione. Bergoglio, insomma, avrebbe ammesso per la prima volta di essersela vista brutta, confermando le voci sulla gravità del ricovero. Ferri, che dice di aver aggiornato a sua volta il Pontefice sulle sue condizioni di salute (a causa di un incidente è costretto in sedia a rotelle), spera intanto che le telefonate del Papa continuino e che possano “arrivare a cento”. “Credo che la prossima sarà per l’anniversario della morte di Andrea, il 4 giugno”, aggiunge.

La vicenda che ha coinvolto Andrea Ferri, ucciso il 4 giugno del 2013

Dalla morte di Andrea Ferri sono passati quasi dieci anni. Era il 4 giugno del 2013 quando l’uomo, di 50 anni, fu ucciso con sette colpi di pistola, quattro dei quali alla testa, mentre si trovava a bordo della sua auto, un Suv nero, dopo essere uscito da casa di un’amica nigeriana, in via Paterni, a Pesaro. Secondo le successive ricostruzioni degli inquirenti, i due uomini accusati del delitto, un marocchino naturalizzato italiano residente a Rimini e un macedone di 24 anni, dipendente di Ferri, avrebbero colpito l’uomo – che, per conto dell’Acema Spa, gestiva tre distributori di benzina -, per prendergli l’auto, munirsi delle chiavi elettriche del caveau del distributore e rapinarlo.

Gli investigatori si erano messi sulle loro tracce dopo una chiamata dell’amica di Ferri che, dopo aver sentito il Suv sfrecciare a tutta velocità, non capendo cosa stesse succedendo, era scesa in strada, trovando il corpo senza vita dell’amico a terra. Aveva allertato quindi i soccorsi che, dopo aver scoperto il furto nel caveau, avevano sospettato che i responsabili fossero dell’éntourage del commerciante: solo qualcuno che lo conosceva e che sapeva come entrare, usando le sofisticate strumentazioni del caveau, avrebbe potuto derubarlo.

Dai racconti dei conoscenti della vittima era emerso che il 24enne per Ferri era come un terzo figlio. Proprio lui, al momento del trasferimento in caserma dopo l’arresto, aveva rischiato il linciaggio da parte dei colleghi e degli amici di Ferri. Dopo l’omicidio, il Papa, insediatosi da pochi mesi, si era messo in contatto con la sua famiglia. Tuttora il loro legame, come dimostrano le frequenti telefonate, resiste al tempo.