L’associazione delle vittime del disastro del traghetto Moby Prince chiede giustizia e verità nel giorno dedicato al 32° anniversario della strage.
Disastro Moby Prince, l’associazione dei familiari delle vittime nel giorno del 32° anniversario: “Non è più il tempo delle parole ma dei fatti”
Si cerca ancora la verità dietro al disastro del traghetto Moby Prince del quale, nel giorno del suo 32° anniversario, vede definiti solamente i contorni della verità sui fatti avvenuti la sera del 10 aprile 1991. Una mancanza di giustizia comune a tanti, troppi fatti della storia italiana, vissuta con amarezza dai familiari delle vittime che, ogni anno, denunciano la loro rabbia unendola al ricordo dei loro cari.
È questa rabbia a caratterizzare le parole di Nicola Rosetti, presidente della Associazione dei familiari delle vittime del Moby Prince ‘140’, mentre parla nella sala del consiglio comunale di Livorno in occasione dell’anniversario di quest’anno.
“Non pensavamo che il nostro Calvario sarebbe stato così lungo ma continuiamo la nostra battaglia per avere verità e giustizia sulla strage della Moby Prince”.
Rosetti aggiunge di sentire vicino il sostegno delle istituzioni, testimoniato dal lavoro di due commissioni di inchiesta. Di queste, l’ultima ha portato, pochi mesi fa, a stabilire la presenza di una terza nave di fronte al porto di Livorno, scenario della strage, responsabile della manovra che ha poi portato allo schianto tra il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo, da cui si originò l’incendio fatale per i 140 passeggeri della nave. Un lavoro importante che Rosetti si augura possa esser portato avanti, per avere almeno una verità storica sulla vicenda.
“In questi anni figure importanti coinvolte in questa vicenda non hanno parlato; faccio appello perché chi sa parli […] Perché 140 persone sono state lasciate morire sulla Moby Prince? Un Paese democratico non può avere paura di fare giustizia e verità”.
Disastro Moby Prince, Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto: “Tempo di aprire gli armadi della vergogna”
Alla commemorazione era presente anche Luchino Chessa, figlio del comandante della Moby Prince in quel tragico 10 aprile 1991 e presidente dell’associazione ’10 Aprile’.
Nelle sue parole c’è più amarezza rispetto a quelle di Rosetti, e la triste consapevolezza che, senza il lavoro dei cittadini direttamente coinvolti nella vicenda, molti tasselli venuti alla luce nel corso degli anni sarebbero rimasti occultati, proprio come molti altri ancora oggi.
“Questo nostro modo di essere cittadinanza attiva in questi ultimi anni ha permesso di raggiungere squarci di verità. Molte delle cose che ci sono state dette erano false; ci sono voluti oltre 30 anni per disvelare carte e documenti che, se emersi nell’immediatezza del 10 aprile 1991, avrebbero cambiato la narrazione di questa storia negli anni e avrebbero avuto effetti dirompenti sull’opinione pubblica e sui processi che si stavano istruendo. Arrivati a questo punto a noi familiari e cittadini interessa la verità che oggi, dopo 32 anni, sappiamo essere ancora chiusa in una serie di armadi della vergogna che è tempo vengano aperti“.
Contro questo isolamento si batte Chessa, nel giorno del 32° anniversario del disastro della Moby Prince. Da qui, di conseguenza, l’appello alla politica e al governo in carica perché dia seguito alle indagini e alle inchieste portate avanti fino ad ora.
“Ci rivolgiamo ai nostri parlamentari affinché possano seriamente analizzare quanto già fatto e decidere quanto sia opportuno e doveroso per colmare lo spazio che manca per conoscere la verità”.