“Senza tradizione l’arte è un gregge di pecore senza pastore. Senza innovazione è un cadavere” diceva Winston Churchill. E a proposito di “invenzione della tradizione” è da rileggere un libro di quaranta anni fa scritto da Eric Hobsbawn e Terence Ranger ripubblicato dalla Piccola Biblioteca Einaudi che smonta alcuni luoghi comuni. I due professori sostengono che “le tradizioni che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta”. Invitano a non confondere la tradizione con la consuetudine, cioè con i vecchi modi di agire o di comunicare ancora vitali. Dicono che le “tradizioni inventate” sono l’insieme di pratiche che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è implicita la continuità con il passato.
Quello che oggi è antico un tempo era considerato nuovo
Secondo Hobsbawn e Ranger ogni società ha accumulato una riserva di materiali in apparenza antichi per rinsaldare vincoli nazionali, per connotare più marcatamente la fisionomia di partiti o di ceti, per attenuare quel senso di insicurezza che si poteva avvertire guardando a un futuro di radicali innovazioni. Un libro che, secondo gli autori, apre una più originale visione dei tempi, dei modi e delle molte contraddizioni di quella che è stata definita l’età della modernizzazione e alla fine della lettura torna in mente un pensiero: “Tutte le cose che ora crediamo antichissime un tempo furono nuove“. Parola di Tacito.
Stefano Bisi