Nella giornata di ieri si è invece tenuto il faccia a faccia tra il Garante della Privacy e i rappresentanti di OpenAI, la società che ha creato ChatGpt. La sensazione è che le parti cercheranno di venirsi incontro, con la startup americana che ha dichiarato in una nota il futuro impegno “a rafforzare la protezione dei dati personali.

L’accordo stipulato ieri prevede che OpenAI debba presentare prossimamente un documento nel quale elencherà le misure intraprese in materia di trasparenza. Molti utenti sperano che la diatriba si risolva, in un senso o nell’altro, nel più breve tempo possibile. Dal canto suo, OpenAI ha continuato a difendere il proprio operato in questa settimana abbondante, sottolineando che l’obiettivo dell’intelligenza artificiale “sia quello di conoscere il mondo, non le persone”.

Petizione contro il ban di ChatGpt in Italia, l’adesione cresce a dismisura

Si intitola “Ripristiniamo ChatGPT e aggiorniamo le norme sull’IA” la petizione online lanciata da un gruppo di accademici per abrogare il ban posto dall’Antitrust in Italia sull’algoritmo di intelligenza artificiale più famoso del momento.

Il principale firmatario è Marco Trombetti, fondatore di Translated, il primo servizio di traduzione che sfrutta l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Essendo un esperto del ramo informatico, Trombetti ha scritto la dichiarazione testuale a corredo usando interamente ChatGpt. Un guanto di sfida lanciato al Garante della Privacy affinché riveda la sua decisione di bloccare il servizio agli utenti italiani.

Secondo il suo giudizio, questa azioneha creato un grave danno a tantissimi cittadini, professionisti e a molte imprese italiane”. Ciò che l’Antitrust non è in grado di cogliere sarebbe la portata rivoluzionaria dell’AI, nella creazione di nuovi mercati, nuovi prodotti e nuove economie. Trombetti paragona la scoperta degli algoritmi all’avvento del Web nel 1991, sottolineando come “ci siano rischi e opportunità amplificati di cui bisogna essere consapevoli”. Sbagliato dunque porre una barriera a priori impedendo alle persone e alle aziende di accedervi.

La più grande critica rivolta dall’imprenditore al Garante è quella di “aver optato per una decisione urgente e poco chiara, nonché di “aver agito in autonomia senza interpellare altre Autorità europee”. La soluzione da lui proposta è quella una riforma normativa della legge europea sulla privacy (679/2016), perché nel frattempo la tecnologia ha compiuto altri passi da gigante. Le direttive sulla privacy, benché necessarie, non possono provocare danni collaterali ad altri diritti e libertà individuali e collettivi.

Oltre all’Agcm l’appello è rivolto al governo italiano (e all’AI Act) e al Comitato europeo per la protezione dei dati (European Data Protection Board).