La ‘Via della seta’ tra Italia e Cina è diventata una Via della Frode. Un sodalizio che la Guarda di finanza ha smascherato con numeri da capogiro: oltre 600 imprese coinvolte, 18 imputati e fatture false per un valore di 150 milioni di euro. L’inchiesta ‘Fast & Clean’, il nome dell’operazione, è stata coordinata dalla procura di Ancona.
Alle 18 persone denunciate si contestano svariati reati: emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, infedele e omessa dichiarazione, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e autoriciclaggio. Si tratta di tre cittadini italiani e 15 di origine cinese, fra cui una delle principali responsabili. La donna cinese è stata infatti arrestata e messa ai domiciliari cautelari.
Tra le oltre 600 imprese, invece, ve ne erano alcune del settore edile che risultano cessionarie di crediti di imposta derivanti dai bonus edilizi.
Maxi frode Italia-Cina, come è nata l’operazione
L’inchiesta delle Fiamme gialle è nata dopo un controllo fiscale e antiriciclaggio nei confronti di un imprenditore terzista di origini cinesi di Corinaldo, in provincia di Ancona. Secondo le indagini, sarebbe emerso che l’azienda, simulando costi finti, avrebbe utilizzato diverse fatture per operazioni del tutto inesistenti. Le fatture erano poi emesse da imprese di altri imprenditori cinesi.
Secondo l’inchiesta, le fatture false non erano un caso isolato. Ma l’azienda era la punta dell’iceberg, fatto da un ingarbugliato sistema. Ingarbugliato, sì, ma anche ben strutturato perché permetteva agli imprenditori italiani e cinesi di evadere le tasse, riciclare il denaro con trasferimenti all’estero e ottenere rapidamente, e in maniera occulta, soldi da poter riutilizzare subito.
Follow the money funziona sempre. E infatti seguendo i flussi finanziari da Corinaldo al Nord Italia, la Gdf ha ricostruito la rete di imprese fantasma che emetteva le fatture. I finanzieri hanno identificato 15 società cartiere: imprese prive di sede e struttura fisica, intestate a soggetti prestanome, con sedi di fantasia, localizzate in apparenza presso grandi centri commerciali in Lombardia o Toscana, che si nascondevano all’ombra di aziende strutturate da cui mutuavano parte del loro nome e l’ubicazione della sede.
I beni sequestrati
I militari hanno quindi eseguito un sequestro preventivo di 33 milioni di euro, tra conti correnti bancari, autovetture di pregio, uno stabilimento di produzione tessile del valore di 150 milioni, denaro contante per circa 30 mila euro. Ma c’erano anche lussuosi orologi, gioielli vari, 9 unità immobiliari del valore complessivo di oltre 1 milione di euro.
Sono state sottoposte a sequestro preventivo anche 15 imprese, di cui è stata disposta la cancellazione per scongiurare la prosecuzione dell’attività illecita. Grazie all’attività investigativa, le somme in transito sui conti bancari sono state intercettate e bloccate prima che venissero trasferite all’estero, in esecuzione di provvedimenti di sequestro preventivo d’urgenza emessi dalla procura e convalidati dal gip di Ancona.
Come funzionava la frode
Per gli inquirenti, lo scopo era di emettere fatture false, le quali tramite intermediari venivano proposte a imprenditori italiani e cinesi per evadere il fisco. Ogni società cartiera emetteva la fattura falsa e indicava al destinatario gli estremi del conto corrente italiano su cui eseguire il bonifico per il pagamento; giunto l’accredito, il gestore della cartiera disponeva un bonifico estero di pari importo su di un conto corrente di una banca cinese, giustificando l’operazione a titolo di pagamento di corrispettivo per operazioni di importazione di prodotti, in realtà mai avvenute.
L’importo complessivo delle somme trasferite all’estero dalle società cartiere risulta essere pari a circa 150 milioni di euro. Gran parte dell’importo bonificato dall’utilizzatore della fattura falsa, trasferito in Cina, veniva restituito allo stesso imprenditore in denaro contante che gli veniva consegnato da corrieri.