70 anni fa il corpo di Wilma Montesi è stato ritrovato sul litorale ostiense. Un caso che tantissimi anni dopo non ha ancora una fine: i colpevoli del delitto non sono mai stati trovati e resta uno dei misteri irrisolti di questo Paese. Una storia capace di intrecciarsi con i vertici politici italiani. Ecco cosa successe in quei giorni.

Caso Montesi: dopo 70 anni non ci sono ancora i colpevoli

Era l’11 aprile 1953 quando Wilma Montesi, 21enne romana e promessa sposa entro l’anno fu ritrovata a Tor Vajanica, a sud di Ostia. Al cadavere mancano indumenti intimi, calze e reggicalze. La polizia indagherà ma il “caso Montesi” è ancora oggi irrisolto a 70 anni di distanza diventando il delitto più clamoroso nel dopoguerra e iscrivendosi all’elenco dei misteri del nostro Paese. Giustizia, mistero e dietrologie sono gli elementi capaci di portare un caso di cronaca nera del litorale ostiense a uno dei più grandi intrighi della storia d’Italia.

Il ritrovamento del cadavere di Montesi

Inizialmente si pensa che fosse stato un malore ad uccidere la 21enne romana ma non viene scartata nemmeno l’ipotesi del suicidio. Gli ultimi momenti di Wilma vivono attraverso le testimonianze dei parenti presenti a Tor Vajanica. L’ultima volta la madre e la sorella hanno visto la ragazza è stato subito dopo il pranzo del 9 aprile, quando si sono perse le sue tracce. L’ultima a vederla viva è la portinaia che la vede uscire ma alla testimonianza della donna si aggiunge quella di chi aveva visto la 21enne salire su un treno per Ostia con un uomo.

Il caso Montesi e la stampa

Il silenzio della polizia sul caso Montesi venne sottolineato dal “Roma” e da “Paese Sera”. Nel frattempo si comincia a pensare a un coinvolgimento di Piero Piccioni, figlio di Attilio democristiano vicepresidente del Consiglio. Dopo un’iniziale querela di Piccioni a “Vie Nuove” il caso rispunta il 6 ottobre 1953 su “Attualità“, anche il rotocalco romano verrà denunciato. A dicembre viene fissato il processo per diffamazione contro il giornalista Muto, che nel corso dell’udienza racconterà cosa succedeva a Tor Vajanica. Nel racconto specifica di orge a base di stupefacenti a Capocotta in una riserva di caccia amministrata dal marchese di San Bartolomeo Ugo Montagna. Il nobile era particolarmente legato all’élite italiana degli anni Cinquanta e vantava ottimi rapporti con Anna Maria Moneta Caglio, la figlia di un notaio milanese.

Il ruolo di Anna Maria Moneta Caglio nel Caso Montesi

Moneta Caglio consegnò poi un memoriale a un gesuita, pensando di essere vicina alla verità. A sua volta l’uomo fece arrivare all’allora ministro dell’Interno Amintore Fanfani lo scritto. Il democristiano fa sentire la donna da un colonnello dei carabinieri per due volte. E’ qui che il caso Montesi va oltre la cronaca nera ed invade il campo politico, come sottolineerà sul Corriere della Sera il direttore Mario Missiroli nel suo articolo di fondo: “è un avvenimento politico che impegna tutta la democrazia italiana“. In quei giorni la storia della 21enne s’intreccia infatti col tentativo del ministro dell’Interno democristiano di formare un governo monocolore. Il governo monocolore non prenderà mai vita ma al suo posto nascerà il “Quadripartito”. La formazione del governo è assai curiosa: Attilio Piccioni diventa ministro degli Esteri, mentre a Fanfani non viene dato alcun ruolo nei dicasteri.

L’arresto di Piccioni: il caso Montesi diventa politico

Il 19 marzo 1954 Moneta Caglio indica l’ex amante Montagna e Piero Piccioni come i responsabili della morte della ragazza. Da lì i magistrati avviano un’istruttoria formale sulla morte di Tor Vajanica e Piero Piccioni viene arrestato per omicidio colposo. L’arresto del ragazzo porta Attilio Piccioni a dimettersi dal ruolo di ministro degli Esteri. Alla fine se la caveranno sia Piccioni che Montagna: i due escono dal carcere e nel maggio 1957 vengono assolti dalla corte d’assise di Venezia assieme ad altri noce imputati. Anna Maria Moneta Caglio viene condanata a due anni e mezzo di reclusione per calunnia.

Caso Montesi 70 anni dopo

Nulla di fatto, così si conclude nell’aula del tribunale di Venezia la storia. Le persone coinvolte in quel macabro caso sono oggi tutte morte, portandosi nella tomba quello che sapevano. Montagna è morto nel 1990, a 80 anni. Piero Piccioni, morto nel 2004, sostituì la fama maturata in quei mesi con quella di pianista jazz e compositore musicale. Moneta Caglio invece è morta ad 86 anni a Monza. Non ottenne mai l’istanza di revisione della condanna per calunnia. Il caso è stato tante volte riportato in auge per sottolineare quante siano le domande ancora senza risposta.