A poco più di un anno dai fatti che hanno portato alla morte di Naima Zahir, la 45enne originaria del Marocco uccisa a coltellate nella sua casa di Lentini, in provincia di Siracusa, è arrivata la condanna all’ergastolo per il marito. L’uomo, di nome Massimo Cannone, 45 anni, era accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi, minorata difesa e premeditazione. Avrebbe ucciso la moglie, con la quale era sposato da 25 anni, perché si sentiva oppresso, colpendola al collo con un coltello da cucina mentre lei era sdraiata sul letto con le cuffie e non poteva difendersi.
Omicidio Naima Zahir a Lentini: la ricostruzione dei fatti
I fatti risalgono al 12 marzo 2022. Cannone, che prima di confessare si era sempre dichiarato innocente, raccontò di aver trovato la moglie senza vita una volta rientrato a casa, dopo essersi recato in pizzeria e al supermercato. “Secondo me ha fatto tutto da sola”, disse. Nonostante questo, dopo averle tolto la lama dalla gola, aveva deciso di pulire la stanza, sostenendo: “Non sapevo quello che facevo, il mio cervello è andato in tilt”. Parlò solo dopo essere stato messo alle strette dagli inquirenti, sostenendo di aver colpito Naima al collo con un coltello da cucina, approfittando del fatto che in quel momento fosse sdraiata a letto con le cuffie nelle orecchie mentre ascoltava musica. I due erano sposati da 25 anni e avevano un figlio, oggi ventenne.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini, la vittima avrebbe avuto giusto il tempo di chiedergli: “Perché mi fai questo? Ti ho sempre voluto bene. Ti ho sempre amato”. Ma invece di impietosire il marito o di ricevere da lui una risposta, quest’ultimo l’aveva colpita di nuovo, questa volta fatalmente. Poi, dopo aver ripulito la stanza dal sangue, si era recato dal fratello raccontando di aver trovato Naima ferita e di aver provato a rianimarla, senza riuscirci, accennando anche a un possibile suicidio.
Convinto di farla franca, aveva anche contattato qualcuno per progettare la fuga. A dimostrarlo, alcune intercettazioni effettuate dagli agenti che lavoravano al caso. Dato il pericolo di allontamento, l’uomo a quel punto era stato arrestato per un secondo interrogatorio, quello che lo avrebbe portato all’ammissione. Davanti agli inquirenti avrebbe dichiarato anche di fare uso di alcol e droga, di frequentare il Sert e di assumere regolarmente farmaci contro la dipendenza.
La condanna all’ergastolo
Accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi, minorata difesa (in quanto la vittima era distratta e non poteva rendersi conto di quanto stesse succedendo) e premeditazione, a poco più di un anno dall’omicidio, Cannone è stato giudicato colpevole dalla Corte d’Assise di Siracusa e condannato al massimo della pena, l’ergastolo, oltre che al pagamento di 160mila euro per il risarcimento delle parti civili: la madre, i tre fratelli e una zia della vittima, che si sono costituite con l’avvocato Giuseppe Cristiano. Secondo chi ha lavorato al caso, l’uomo si sarebbe sentito oppresso dalla moglie – durante la sua confessione ammise di sentirsi “costretto agli arresti domiciliari” – e, in un momento di rabbia, avrebbe impugnato il coltello, scagliandosi ferocemente contro di lei e non lasciandole neanche il tempo di potersi difendere.
“Giustizia è fatta, riposa in Pace Naima”, scrivono ora gli utenti su Facebook. Nessuno, però, potrà riportare in vita la 45enne, entrata nel triste elenco delle vittime di femminicidio: circa 120, nel solo 2022, secondo i dati del Viminale. Il suo nome è scritto accanto a quello di altre donne, come Alessandra Matteuzzi, la 27enne uccisa a martellate dall’ex fidanzato, e Alice Neri, sulla cui morte – fu trovata carbonizzata all’interno del bagagliaio della sua auto nelle campagne modenesi – gli inquirenti stanno ancora provando a fare luce.