Vittorio Sgarbi sarà giudicato davanti al giudice civile di Roma per gli insulti rivolti a Mara Carfagna nel 2020. La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha infatti negato al sottosegretario alla Cultura l’immunità parlamentare che gli avrebbe consentito di non andare a processo. L’attuale presidente di Azione lo aveva citato in giudizio per alcuni episodi verificatisi in Aula nei primi mesi della pandemia quando, dopo avergli chiesto di indossare la mascherina nel modo corretto, Sgarbi aveva preso ad offenderla pesantemente, pubblicando dei video contro di lei anche sui social. Ora rischia di doverla risarcire. Lei ha chiesto trentamila euro.

Vittorio Sgarbi-Mara Carfagna: gli insulti e la denuncia per diffamazione

In aula Vittorio Sgarbi dovrà difendersi dall’accusa di diffamazione per aver insultato ripetutamente Mara Carfagna. All’epoca vicepresidente di Montecitorio, l’attuale presidente di Azione, durante un’assemblea in Aula, aveva richiamato il critico d’arte, ora sottosegretario alla Cultura, all’ordine, invitandolo ad indossare in modo corretto la mascherina. Sgarbi, infatti, si era rifiutato di metterla, tenendola appesa agli occhiali. Alla richiesta di Carfagna aveva reagito rivolgendole delle pesanti offese e pubblicando sui social dei video – poi ripostati da diversi media – in cui la insultava apertamente:

Quella intollerabile cret*** della Carfagna dice ‘isolatevi’: quella poveretta, in Parlamento solo per essere stata in ginocchio davanti a Berlusconi. Capre! Carfagna capra! Mi fa schifo che mi rappresentate in Parlamento.

Dichiarazioni che gli erano costate una denuncia, finendo per essere oggetto della Giunta per le autorizzazioni della Camera, chiamata ad esprimersi circa l’attinenza delle opinioni espresse dal parlamentare all’esercizio delle proprie funzioni e la sua eventuale insindacabilità. L’organismo si era riunito ai primi di marzo, ascoltando la relazione di Antonella Forattini (Pd-Idp) sulla vicenda. “Non ha diritto allo scudo – aveva dichiarato. Deve essere processato”. A sostegno della tesi della sindacabilità delle opinioni del sottosegretario, erano stati proiettati in giunta tre documenti video. In uno di essi, tra i meno volgari, si ascoltava:

Abbiamo visto l’inaudito richiamo, l’arroganza di una vicepresidente della Camera che con aria da maestrina o da preside mi ha detto di mettere la mascherina. Ma chi c**** sei ? Nel suo ordine, basato sulla sua assoluta ignoranza, sembrerebbe che da parte mia ci fosse stato un gesto polemico. Io la mascherina ce l’avevo, la tenevo legata agli occhiali, un poco lasca. Nessuno ha detto che devo indossare la mascherina alle orecchie, ignorante. Spero di non vederla più e di non salutarla. Io la mascherina la indosso come voglio e farei meglio a non indossarla perché fa male. Serve solo il distanziamento sociale. Capra!

Negata l’immunità: verso il processo

Al termine dei suoi lavori, la Giunta avrebbe ora deciso di accogliere all’unanimità la proposta di negare l’immunità parlamentare a Sgarbi, dando il via libera al giudizio nei suoi confronti. Le sue opinioni, infatti, sono state ritenute “sindacabili”, perché volgari e offensive e quindi contro il regolamento e i provvedimenti normativi interni, che vietano l’uso di tali espressioni all’interno del Parlamento.

In caso contrario, cioè se le dichiarazioni fossero state riconosciute come rilasciate dal sottosegretario nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare, non sarebbe stato processato. A prevederlo è l’articolo 68, primo comma, della Costituzione, che tutela i parlamentari. Sgarbi dovrà invece presentarsi davanti al giudice del Tribunale di Roma, Roberta Nocella, per il procedimento civile finora sospeso. Alla fine rischia di dover risarcire Carfagna. La somma richiesta da quest’ultima è di trentamila euro.

Nell’aprile dello scorso anno era stato assolto in Appello dall’accusa di diffamazione aggravata a mezzo stampa per aver definito un funzionario della regione sarda un “criminale”, “traditore”, “imbecille” e “pazzo” in relazione a un progetto che riguardava Poggio dei Pini. In quel caso la denuncia era stata considerata “invalida”.