TAG24 ha recentemente ricevuto e pubblicato una lettera giunta in redazione a firma Muhammad, che si è presentato come un ex scafista, che ora vive in Italia. A questo proposito, ci ha scritto Michaela Namuth, giornalista-corrispondente tedesca, che ha confermato come alcuni migranti vengano assoldati come scafisti dalle organizzazioni criminali che operano nel traffico di esseri umani.
“Migranti costretti a fare da scafisti”: la lettera di Michaela Namuth a Tag24
Michaela, a proposito della storia di Muhammad, ci scrive:
“Grazie per aver pubblicato questa interessante testimonianza che conferma le informazioni che ho avuto tramite un’intervista con un giovane rifugiato senegalese. Anche lui è stato ingaggiato in Libia come cosìddetto scafista, ovvero come quello che guida un barcone strapieno di persone sotto la sua personale responsabilità. Lui ha accettato perché non aveva abbastanza denaro per pagare il tragitto. Arrivato in Italia è stato subito arrestato, accusato come trafficante e rimasto per quasi sette anni in prigione. Oggi ha 32 anni ed è fortemente traumatizzato. Dopo la terribile esperienza nel lager libico è passato direttamente in un’ altra prigione, aveva solo 25 anni. Adesso è assistito da un’organizzazione che da sostegno ai migranti e finalmente ha ottenuto un permesso di soggiorno per poter trovarsi un lavoro”.
Ha senso perseguire solo l’ultimo anello della catena criminale?
Considerate le circostanze da lei accertate durante il suo lavoro d’inchiesta, Michaela si chiede se abbia senso perseguire solo quei migranti che spesso vengono obbligati a fare gli scafisti da potenti organizzazioni criminali internazionali:
“Penso che si dovrebbero ascoltare tante altre voci per capire meglio che vuol dire la parola scafista prima di aprire la caccia a persone che – in tanti casi – non sono quelle che organizzano e guadagnano dal traffico di essere umani che è diventato un business criminale come il traffico di droga o di armi. Perciò non porta a nessun risultato accusare l’ultimo anello della catena invece di guardare più in alto”.