L’attaccante della Roma Andrea Belotti si racconta in una lettera pubblicata su ‘Cronache di spogliatoio’. Ripercorre la sua storia calcistica raccontando aneddoti della sua vita: dal motivo del suo soprannome ‘Gallo’ fino al rapporto con un gigante come Gianluca Vialli, passando per la fede e la famosa valutazione di 100 milioni che Urbano Cairo chiedeva per lui all’epoca del Torino.
Perché Gallo Belotti?
“Il mio amico Juri sta gestendo la sua clientela al Bar Cocktail di Calcinate, il paese in cui sono nato in provincia di Bergamo. Lo ha aperto da qualche mese e le cose gli stanno andando bene. Talmente tanto che non è ancora riuscito a venirmi a vedere. Io ho 18 anni e gioco nell’Albinoleffe, in Serie C. Juri da piccolo giocava a calcio ed era davvero bravo. Ma ha una testa… insomma, Juri di cognome si chiama Gallo e il primo a esultare con la cresta è stato proprio lui. Segnava in tutti i modi, un vero e proprio bomber. Depositava il pallone in rete sui campi di provincia e correva a esultare mimando la cresta. La sera del 3 settembre 2012 è la sera in cui mi ha chiamato per dirmi: «Andrea! Sono riuscito a liberarmi. Domani al bar mi copre mio padre, vengo a vederti». Ero gasatissimo. Il giorno dopo giocavamo in casa contro la Feralpisalò. Data la circostanza storica, facemmo una scommessa: «Finalmente vengo a vederti. Promettimelo: se segni, esulti con la cresta del gallo in mio onore». L’arbitro fischia l’inizio della partita. Passano due minuti e Karamoko Cissé mi serve un pallone. Prendo e lo scaravento in rete. Non ci penso un attimo: corro sotto la tribuna e inizio a mimare la cresta del gallo come un pazzo. Tutti corrono ad abbracciarmi. Volete saperlo? Juri, quel giorno, si è presentato in ritardo di tre minuti. Mentre parcheggiava, ha sentito il boato dello stadio. Ho fatto la cresta… per nessuno. Ma che fai? Hai segnato dopo due minuti… non la riproponi? Dopo la partita siamo scoppiati a ridere: «Andrea, sono arrivato in ritardo, devi rifarla!». Era un’esultanza che non si era mai vista. Ho iniziato per gioco, mi è piaciuta, e ora eccomi qui: il Gallo Belotti“.
La fede
Il Gallo Belotti è nato con la fede e cresciuto in oratorio. “Per me, la casa di Don Sergio era un punto d’incontro: c’era sempre qualcuno che giocava a calcio, a basket, a pallavolo. Ci ritrovavamo lì, semplicemente, anche durante la settimana. Ricordo che la domenica, appena finiva il catechismo, andavamo in chiesa per la benedizione. E poi via, in campo. Ci posizionavamo nelle due metà e potevamo tirare senza oltrepassare il centrocampo. Ci si fermava anche per 3 o 4 ore. Cioè, era proprio bello. Crescere in oratorio significa entrare in contatto con tante persone. Un modo diverso di trascorrere la giornata. La chiesa mi ha accompagnato: facevo il chierichetto e a casa i miei genitori mi hanno trasmesso fin da piccolo la fede. È un qualcosa che da sempre vive dentro di me. La preghiera prima di ogni pasto, la preghiera prima di andare a dormire. Io credo veramente: ognuno è libero di farlo con la potenza che vuole, non è un obbligo”.
Un rapporto molto intimo con la chiesa cattolica tanto che i suoi due idoli sono il parroco di Calcinate, Don Sergio, e il Papa Giovanni Paolo II. Proprio la morte di Karol Wojtyla fu un passaggio fondamentale per la sua adolescenza: “Nessuno ha lasciato ciò che ha lasciato lui. Ero piccolo, ma ricordo che mio fratello è partito da Bergamo per andare fino a Roma, anche solo per potergli rendere un omaggio di 5 secondi. Questo fa capire quanto la mia famiglia sia legata alla fede cristiana e quanto lui fosse diventato un lutto in casa nostra. Era un punto di riferimento unico nel suo genere nel dare tutto sé stesso per gli altri. Ho avuto l’onore di incontrare Papa Bergoglio con la Nazionale, mi piacerebbe tornare a far benedire i miei figli”.
Gianluca Vialli
Dirigente, amico e confidente dell’intera spedizione azzurra negli Europei vinti nel 2021 ma soprattutto un esempio per tutti. “Ho in mente un momento. Una mattina, dopo colazione, arrivo al campo un’ora prima, pensando di non trovare nessuno. E invece c’era una persona che correva da sola. Un’ora prima dell’appuntamento. Era lui. In quel preciso istante, ho pensato che nonostante tutte le difficoltà che stava passando, lui stava correndo. Con la sofferenza che aveva dentro, con i milioni di problemi che si portava dietro. Con la sua forza. Gianluca era pronto ad aiutarti, sempre. Eppure era lui quello che aveva bisogno di aiuto. Quando vedi una persona dare tutto quello, ti guardi dentro e senti che ti sta trasmettendo una forza devastante. Sono convinto che vivrà per sempre dentro di noi. Ci sono delle persone che hanno un dono: lui aveva quello di saperti entrare dentro. Ricordo che, io e lui, restavamo anche 5 ore a parlare. Io lo fissavo, imbambolato, osservando la sua bocca. Non volevi perdere neanche una parola di quello che ti diceva”.
Mr 100 milioni
Una estate intera al centro dei riflettori di mercato con il presidente del Torino, Urbano Cairo, che chiedeva cento milioni per lasciarlo partire. Furono mesi dove l’apporto della famiglia fu fondamentale per alleggerire situazioni complicate. “Si leggeva «Belotti» ovunque. Probabilmente, all’inizio sono stato consigliato nel modo sbagliato. Ho avuto la forza di lasciar correre. Si diceva che fosse fatta con il Milan per 58 milioni, che dovevo andare a giocare la Champions League. Si parlava ovunque della mia valutazione, di quanto valesse Belotti, di cosa dovesse fare Belotti, di quale fosse l’opzione migliore per Belotti”.