Chi è Benjamin Netanyahu. Magari all’inizio lo era per gli amici, poi sicuramente lo è diventato per tutti. ‘Bibi’, Come ormai è conosciuto il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il “re d’Israele” (come lo chiamano da anni i suoi fan), che rischia di diventare lo ‘Stalin d’Israele’, è con le spalle al muro. La sua tanto amato riforma della giustizia ha portato il popolo israeliano, ben conoscitore di migrazioni e drammi razziali, a scendere in piazza per dire “no”. Ma ha costretto anche la sua maggioranza a perdere pezzi di lusso (il ministro della difesa Gallant) e a chiudere tutte le ambasciate israeliano sparse per il Globo. Questa forse è solo una battaglia persa e probabilmente la resa dei conti si avrà a maggio, quando si riunirà il parlamento d’Israele per votare la contestata riforma giudiziaria. Ma Bibi è un combattente e un vecchio volpone della politica.

Il bachelor of science al Mit di Boston

Lui che è cresciuto in ambienti accademici nel nuovo mondo. Netanyahu ha infatti ottenuto un ‘bachelor of science’ in architettura presso l’esclusivo Mit (Massachusetts Institute of Technology ), arricchito da un Master of Business and Administration alla Sloan Business School, sempre del Mit. È una persona arguta e carismatica, che mastica l’americano come un vero attore di Hollywood. La sua vita è stata costellata da diverse presenze negli Usa, passando poi per Harvard. Il suo petto può anche sfoggiare diverse brillanti medaglie.

Si arruola nell’esercito a 18 anni, entrando nelle forze speciali Israeliane, l’unità Sayeret Matkal, dove rimane dal 1967 al 1973, arrivando sino al rango di capitano. Un’altra tacca sul bastone della sua esperienza. È rappresentante permanente per Israele alle Nazioni unite per 4 anni (1984-1988). Una volta tornato in patria, inizia la sua lunga carriera politica. Diventa il leader del partito conservatore Likud e nel 1996 è eletto primo ministro d’Israele, il più giovane dalla fondazione del paese nel 1948.

Chi è Netanyahu, la riforma contestata

Fa strano che un personaggio del genere, il cui fratello è rimasto ucciso in un’operazione militare nel 1976 – diventando un eroe nazionale – sia caduto dal pinnacolo della sua lunga esperienza. Gli israeliani di tutto il mondo contestano la sua riforma giudiziaria, che mina la trilogia del potere (esecutivo, legislativo e giudiziario). La Corte suprema israeliana – l’idea alla base della riforma – è che si sia intromessa troppo nella vita politica del paese e che, dunque, sia necessario un freno al suo potere.

Certo, mettendo la giustizia nelle mani del premier (che, ricordiamo, nel 2019 viene accusato di corruzione, frode e abuso d’ufficio per favorire aziende e uomini d’affari). I suoi avversari, praticamente quasi tutto il popolo, vogliono una magistratura indipendente per la salute della democrazia. Tutto gira intorno a questa parola, democrazia. Gli israeliani infatti temono che dare troppo potere in mano al premier, possa trasformare il paese in una teocrazia. Detto in altri termini, in una dittatura, dove il premier arroga su di sé tutti i potere.

Oggi si trova ad affrontare la più grande crisi popolare del suo paese e più di qualcuno, sottovoce beninteso, crede che il rinvio sia anche arrivato dall’alto. Da quel paese che da sempre è alleato di Israele, gli Usa, che teme come senza la terra di Mosè, infilzata nella costola del mondo arabo, possa perdere una visione approfondita e un appoggio alle porte dell’Islam. Alcuni giorni fa, il 26 marzo, gli Stati Uniti si erano detti molto preoccupati per la situazione del suo paese. La guerra civile era molto vicina. Alla fine Bibi è corso ai ripari con uno stop alla riforma. Che però sarà discussa dal Knesset, il parlamento, a maggio. Israele starà altri mesi con il fiato sospeso, ma intanto le proteste – dicono – continueranno.