In cielo sfrecciano jet militari mentre mezzi corazzati, missili e soldati sfilano davanti Min Aung Hlaing, il capo dell’esercito del Myanmar. Così si è celebrata lunedì, a Naypyidaw, l’annuale parata militare in onore della giornata delle Forze Armate. Il messaggio mandato dall’esercito non si è fatto attendere: il Tatmadaw, l’esercito del Myanmar, non smetterà di combattere coloro che si oppongono al loro dominio, a qualunque costo.
Da quando i militari hanno ripreso il potere con un colpo di Stato il primo febbraio 2021, nel Paese è scoppiata una guerra civile senza precedenti. Dagli Shan, ai Karen, ai Karenni, ai Kachin: diverse sono le Organizzazioni Etniche Armate (EAO) che, indipendentemente dagli accordi di pace siglati in passato con l’esercito, sono tornati a combattere contro la giunta militare dopo il colpo di Stato. Loro stanno anche formando la People’s Defence Force, le forze armate della resistenza popolare, la nuova milizia armata del Governo di Unità Nazionale (NUG), costituita dai civili.
Myanmar, giornata delle Forze Armate
Il conflitto ha ucciso decine di migliaia di persone e più di un milione sono state sfollate.
Ma il generale Min Aung Hlaing, a capo del governo militare, non ha mostrato segni di cedimento in un raro discorso. Il regime, ha detto, affronterà con decisione quelli che ha descritto come “atti di terrore” da parte di gruppi di resistenza armata. E, ha aggiunto, i Paesi che hanno condannato il suo colpo di stato – sostenitori del terrore, li ha etichettati – hanno sbagliato e dovrebbero unirsi ai militari per plasmare la propria forma di democrazia.
C’è una curiosità interessante che riguarda la storia delle Forze Armate e che attiene alla loro festività: prima la festa si chiamava Giorno della Resistenza, in onore della decisione del 1945 di resistere all’occupazione giapponese. Questo deve essere sicuramente un ricordo spiacevole per un esercito che oggi deve affrontare così tanta resistenza popolare contro il suo dominio.
È, tuttavia, una delle poche occasioni in cui gli estranei possono sentire parlare il comandante militare, rimasto, come tanti altri, intrappolato nel passato: nel suo discorso ha incolpato il colonialismo britannico e il fascismo giapponese per aver diviso il popolo di Myanmar e spinto le forze armate ad intervenire ripetutamente negli ultimi 75 anni. Il messaggio era chiaro: l’esercito è forte, unito e capace di imporre la sua volontà al Paese. E ciò sembra riportare ai soffocanti anni passati, quelli sotto regimi autoritari successivi tra il 1962 e il 2010, nei quali il Paese era governato da militari che si attenevano a temi familiari di quel tempo e con la propaganda si dicevano pronti a schiacciare i nemici interni e difendere le “tre cause nazionali”, mettendo l’unità al di sopra di ogni altra cosa.