Quota 103, la scelta di andare subito in pensione considerando il taglio dell’assegno mensile fissato nelle scorse settimane dall’Inps e la non cumulabilità dei redditi previdenziali con quelli lavorativi. Ecco cosa fare per chi dovesse trovarsi in questa situazione. La quota 103 è il canale di pensione anticipata prevista per il 2023 al raggiungimento dell’età di 62 anni unitamente a 41 anni di contributi. Proprio il calcolo del montante contributivo può dare una proiezione di quale sarà l’importo lordo della futura pensione. Se la pensione dovesse essere più alta di 2.818,70 euro, pari a cinque volte il trattamento minimo, il futuro pensionato perderà l’eventuale eccedenza per tutto il periodo di prepensionamento. Ovvero, dalla data di uscita dal lavoro al raggiungimento della pensione di vecchiaia dei 67 anni.

Pensione quota 103 uscita nel 2023 quanto si perde di assegno mensile?

È questo uno dei dubbi che manifesta chi quest’anno potrebbe andare in pensione con quota 103 rinunciando a una parte dell’assegno mensile. Proprio nelle scorse settimane l’Inps ha chiarito che non pagherà l’eventuale eccedenza di pensione spettante se il trattamento mensile dovesse essere maggiore di 2.818,70 euro. Quanto si perde? Una stima si può ottenere facilmente anche dai simulatori messi a disposizione da vari istituti che trattano di previdenza, tra i quali la stessa Inps. Ammettiamo che un lavoratore che raggiunga il requisito della quota 103 nel 2023 preveda di avere un assegno di pensione mensile di 4.000 euro lordi.

Come calcolare quanto si perde andando in pensione con quota 103?

Uscendo dal lavoro anticipatamente il lavoratore dovrebbe mettere in conto la perdita di almeno 1.200 euro mensili lordi per tutta la durata del prepensionamento. Ovvero, dall’effettivo pagamento della prima rata di pensione da parte dell’Inps (osservando la finestra mobile di tre o sei mesi a seconda della provenienza lavorativa, rispettivamente dal settore privato o dal pubblico), fino alla maturazione vecchiaia. Quindi, per ottenere un assegno “pieno”, senza la decurtazione della quota 103, il neopensionato dovrebbe attendere i 67 anni di età. Peraltro, nella stessa circolare nella quale l’Inps ha chiarito il tetto di pensione mensile, l’Istituto previdenziale specifica che, col passare degli anni, i requisiti della pensione di vecchiaia potrebbero allontanarsi per la speranza di vita. Fino al 31 dicembre 2024 l’età richiesta sarà di 67 anni. Dal 1° gennaio 2025 potrebbero essere richiesti 67 anni e qualche mese, a seconda dell’aspettativa di vita che si osserverà in questi anni.

Pensioni quota 103 uscita nel 2023 si può continuare a lavorare?

Quello del tetto massimo di pensione con 103 non è l’unico taglio previsto per chi esce quest’anno. Come per quota 100 e quota 102, che hanno terminato la sperimentazione negli anni scorsi, anche per quota 103 vige la regola di non cumulabilità dei redditi da pensione con quelli da lavoro. Chi si appresta a uscire a 62 anni o poco più con la quota 103 deve mettere in conto che, oltre al taglio della pensione, potrebbe aggiungersi la perdita di redditi da lavoro. La disciplina, infatti, ammette la possibilità di cumulo limitatamente a lavori del tutto saltuari e occasionali, con tetto di reddito da lavoro fissato a 5.000 euro lordi all’anno. Non si può lavorare, ovviamente, alle dipendenze.

Bonus contributivo per chi dovesse scegliere di continuare a lavorare: in cosa consiste?

Ultimo aspetto da tener presente per la scelta di andare in pensione con quota 103 è l’avvalersi o meno del bonus contributivo nel caso in cui si rimandasse l’uscita dal lavoro. In un decreto interministeriale dell’Economia e del Lavoro di prossima pubblicazione, si conferma infatti che chi dovesse maturare nel 2023 i requisiti pensionistici per quota 103 – pur tuttavia continuando a lavorare – può scegliere di fare domanda per il bonus contributivo. Tale incentivo consiste nell’ottenere, in busta paga insieme allo stipendio, la quota di contributi spettante al lavoratore (pari al 9,19%), fermo restante la quota dei due terzi a carico del datore. Il provvedimento interministeriale chiarisce che la quota a carico dei lavoratore, se richiesta con specifica istanza, non verrà recuperata ai fini del montante contributivo valido per la futura pensione.