È in programma per il prossimo 5 giugno l’udienza con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste sarà chiamato a decidere sull’archiviazione del caso di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa in Friuli il 14 dicembre 2021, trovata morta il 5 gennaio 2022. Secondo la Procura, la donna si sarebbe tolta la vita. Ma chi la conosceva non crede a questa ipotesi, confermata, in parte, dalla perizia psichiatrica – che ha messo in luce lo stato psichico stabile della donna al momento della morte – e chiede il proseguimento delle indagini. Sono tre, in totale, le richieste di opposizione.
Liliana Resinovich ultime notizie: a giugno l’udienza che deciderà se archiviare il caso
È il 14 dicembre 2021 quando Liliana Resinovich, 63enne in pensione, scompare dalla sua abitazione di Trieste, facendo perdere le sue tracce. Dopo quasi un mese di ricerche, viene trovata, senza vita, nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni. Sul corpo, nascosto in dei sacchi di plastica, non ci sono segni di colluttazione; per il medico legale non ci sono dubbi: il decesso è dovuto a soffocamento. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, la mattina della scomparsa avrebbe dovuto incontrare un amico, l’83enne Claudio Sterpin, con il quale aveva una relazione extraconiugale. Per la Procura si sarebbe tolta la vita intenzionalmente.
Un’ipotesi a cui chi la conosceva non si arrende. Sono tre, in totale, le richieste di opposizione all’archiviazione del caso: quella presentata dal fratello Sergio, assistito dall’avvocato Nicodemo Gentile, dalla nipote Veronica, assistita dall’avvocata Federica Obizzi, e quella del marito Sebastiano, assistito dall’avvocato Paolo Bevilacqua. Tutti e tre non ritengono plausibile la ricostruzione fatta dalla Procura, secondo la quale Liliana si sarebbe allontanata volontariamente dalla casa in cui viveva con il marito, nascondendosi o vagando per quasi un mese prima di suicidarsi, al massimo due giorni prima del ritrovamento del cadavere, come appurato dall’esito dell’autopsia.
“Per noi è fondamentale capire quando Liliana è morta – ha spiegato l’avvocato Nicodemo Gentile, presidente dell’Associazione Penelope –, un’escoriazione sulle dita della mano destra è stata interpretata dai nostri tecnici come sospetto segno di afferramento. Ciò andrebbe a disintegrare l’ipotesi suicidiaria”. Il riferimento è alla consulenza effettuata dal professor Vittorio Fineschi dell’Università La Sapienza di Roma insieme al dottore Stefano D’Errico dell’Università degli Studi di Trieste, incaricati dalla famiglia della vittima per analizzare i risultati dell’indagine sulla morte della 63enne sotto il profilo tecnico-scientifico.
Secondo Fineschi, a differenza di quanto sostenuto dalla Procura, il fatto che non siano state trovate prove a conferma dell’omicidio non significa che Liliana Resinovich si sia tolta la vita. I segni rinvenuti sul corpo, insieme a una serie di errori effettuati durante gli esami, indicherebbero, inoltre, che “non vi è certezza né del giorno della morte né del suicidio”. Anche perché, secondo la perizia psichiatrica – effettuata sulla salma con lo scopo di fare luce sullo stato psichico della donna al momento della morte -, Liliana “stava bene” e non avrebbe assunto psicofarmaci, né in passato, né al momento della scomparsa. Per questi motivi le indagini dovrebbero proseguire.
Le motivazioni della Procura
“Non è necessario sciogliere tale dilemma (quello sul giorno del decesso, per capire se Liliana sia morta il giorno della scomparsa o successivamente, ndr) per giungere all’archiviazione della vicenda: è sufficiente constatare che dalle indagini, scrupolosamente condotte, non è emersa, con un minimo di concretezza, alcuna ipotesi di reato specifica e perseguibile ai danni della deceduta”, si leggeva nella nota diffusa dalla Procura di Trieste e firmata dal procuratore capo Antonio De Nicolo sulla richiesta di archiviazione del caso. Nei confronti della 63enne, secondo gli inquirenti, non sarebbero stati commessi reati, violenze o altre condotte lesive.