“Chissà perché quel giorno, pur dicendo che avevano paura di me, non uscì mio cognato”. Sarebbero queste, stando a quanto riportato da Repubblica, le parole scritte in alcune lettere da Alberto Scagni, il 42enne in carcere per l’omicidio della sorella, Alice Scagni, uccisa a coltellate sotto a casa il primo maggio scorso a Genova Quinto. Considerazioni che l’uomo avrebbe scritto a margine di alcuni appuntamenti avuti con il professionista incaricato di accertarsi delle sue condizioni psichiche e che ora sono state raccolte nel fascicolo d’inchiesta a suo carico.

Alberto Scagni lettere dal carcere: il 42enne punta il dito contro la sua famiglia

Dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti ai pm, Alberto Scagni avrebbe ora riservato alla comunicazione scritta alcune considerazioni in ordine sparso sull’omicidio della sorella, uccisa con 24 coltellate lo scorso maggio a Genova Quinto. Nelle lettere, scritte a margine dei suoi incontri con il professionista incaricato di effettuare la perizia psichiatrica sulle sue capacità di intendere e di volere, il 42enne continuerebbe ad accusare gli altri, la famiglia, sia per quanto accaduto a lui che alla sorella, sostenendo di essere stato “torturato psicologicamente” da loro, visto che lo avevano spinto a curarsi per i suoi problemi mentali.

“Penso a quello che ho detto durante la perizia psichiatrica – si leggerebbe in uno di questi fogli, secondo quanto riportato da Repubblica -; visto che sono a Marassi (il carcere di Genova dove è detenuto, ndr) imputato per aver dato diciannove coltellate a mia sorella. Alice Scagni. Torturato psicologicamente. Che cosa brutta. Chissà come sta mia sorella”. In un altro passaggio, in particolare, si scaglierebbe contro il cognato che, al pari dei genitori della vittima, ha sempre sostenuto come la famiglia fosse spaventata dai comportamenti sempre più molesti di Alberto, tanto da richiedere che una pattuglia della polizia fosse inviata sotto casa di Alice per sorvegliarla.

“Mi è capitato di domandarmi per quale motivo il marito di mia sorella abbia affermato che ‘vivessero con la costante paura di trovare me fuori dalla porta di casa’ e vivendo con la costante paura di trovarsi me fuori dalla porta di casa, dal palazzo non sia uscito lui”, ha scritto il 42enne. “Notte. Non riesco a dormire. Torture psicologiche simili a quelle che subivo quando ero a casa… C’è un motivo particolare per cui dovrei sopportare pagliacci e pagliacciate anche dentro il carcere? Ho subito torture psicologiche e fisiche per mesi mentre ero a casa. Non accetto, né tollero, che queste stronzate si ripetano qui in carcere”, si legge in un altro foglio.

Non mancano, poi, le riflessioni sulla possibile condanna: “Oggi, mentre ero in cella, parlavo con un detenuto che è passato davanti alla porta. Mi ha fatto i cosiddetti conti della serva, paventando una ipotetica decina di anni da qui alla mia scarcerazione. Non mi illudo. Ma non mi dispero. Un cinquanta e cinquanta”. Le lettere, raccolte dagli inquirenti nel fascicolo di indagine per la richiesta del rinvio a giudizio e il processo per l’indagato, accusato di omicidio volontario, saranno usate dai legali che difendono l’uomo per dimostrare la sua totale incapacità di intendere e di volere.

Le parole della nonna sul nipote killer

La possibile scarcerazione del nipote spaventa la nonna. L’anziana, di nome Lodovica Albera, ascoltata dai magistrati lo scorso febbraio, ha scritto una missiva agli inquirenti esprimendo tutte le sue preoccupazioni. “Fate in modo che mio nipote Alberto resti in carcere per tutta la vita. Se mai dovesse uscire, sono sicura che la prima vittima sarebbe il figlio di Alice”, si legge nella lettera della 93enne. Secondo lei il nipote sarebbe in grado di uccidere ancora.