La necessità di soccorrere sempre gli immigrati, sia lungo la rotta insanguinata del Mediterraneo che lungo quelle dei Balcani, è stato ribadito mercoledì scorso da papa Francesco nell’incontro con la piattaforma umanitaria “Mediterranea”, che opera sia nel “Mare nostrum” che nell’Ucraina in guerra. Con i volontari erano presenti due “vescovi di strada”, scelti da Francesco per guidare le diocesi di Palermo, come Corrado Lorefice, e quella di Napoli, come Mimmo Battaglia. Il Papa si è congratulato con la Ong che salva i migranti nel Mediterraneo con la nave Jonio, in particolare per la loro presenza a Cutro il giorno dopo il terribile naufragio che ha fatto finora 88 morti, di cui più di 30 bambini.
Il papa e i migranti, la storia di Arjan Dodaj
E una bella storia, che lega migranti e Chiesa cattolica, è quella che racconta oggi “Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani. Una storia che parla di un ragazzo che a 16 anni lascia la sua Albania su di un motoscafo diretto in Italia, con altri 40 migranti. Era il 1993, e trenta anni dopo, Arjan Dodaj è divenuto arcivescovo della diocesi di Tirana-Durazzo. Dopo l’approdo sulle coste pugliesi, Arjan giunge a Cuneo, dove aiutato da alcuni connazionali lavora come saldatore, giardiniere e muratore. Poi, il ragazzo che giungeva dall’Albania, che il dittatore comunista Enver Hoxha aveva governato (fino al 1944) nel più duro ateismo di Stato, incontra una comunità di preghiera, la “Casa di Maria”, che gli fa scoprire Dio e il cristianesimo. E allora in lui riemergono lontani ricordi della nonna, che con un rosario senza segni religiosi recitava parole e cantava canti per il piccolo Arjan incomprensibili, e che ora cominciava lentamente a decifrare. Nel 1994 il giovane immigrato chiede di battezzarsi, e dentro sente nascergli la vocazione alla vita religiosa. Giovanni Paolo II lo ordina sacerdote a Roma nel 2003, e nella capitale lavora come parroco nella borgata del Trullo, fino al 2017, anno in cui è richiamato in Albania per diventare vicario episcopale della diocesi di Tirana-Durazzo, e poi, nel 2021, vescovo di quella diocesi.
La cooperazione fraterna tra fedi diverse
Nella notte di Pasqua dell’anno scorso, il neo-vescovo ha battezzato ben duecento giovani, la maggior parte dei quali provenivano da famiglie di tradizione musulmana. Questo è stato reso possibile dall’ottimo clima di dialogo e di collaborazione che si è stabilito nel Paese ex comunista tra cattolici, ortodossi e musulmani, e che Francesco, nel suo viaggio apostolico in Albania del 2014, ha lodato come esempio di cooperazione fraterna. Tra le altre attività, l’ex migrante è oggi impegnato, come presidente della Caritas albanese, anche sul fronte delle migrazioni, con l’accoglienza di migliaia di profughi siriani, afgani e iracheni, che seguono la rotta balcanica. Ma il lavoro di monsignor Dodaj non si ferma qua, perché il presule, memore del suo passato di immigrato, preme sulle autorità albanesi e su chi investe in Albania per un lavoro degno e dignitoso, soprattutto per i giovani. E chiede, indirettamente, a tutti i Paesi dell’Europa non solo il doveroso intervento in soccorso dei migranti in difficoltà, ma anche un’accoglienza e un’integrazione degna per chi fugge da guerre, povertà e fame. Un lavoro, dice il vescovo albanese, che l’Europa deve affrontare mediante il coinvolgimento di tutti i Paesi membri dell’Ue.
Raffaele Luise per la Rubrica VaticanoMondo