Cos’è il reato di tortura e cosa prevede il codice penale italiano a tal proposito? Tornato sotto i riflettori con la proposta di legge di Fratelli d’Italia, che ne prevede l’abrogazione – notizia che ha scatenato la dura reazione delle opposizioni -, il reato di tortura è entrato nel nostro ordinamento nel 2017, a seguito di un lungo e complesso iter parlamentare: ecco di cosa si tratta.
Reato di tortura Italia: cos’è e quando è stato introdotto nel nostro ordinamento
A definire il concetto di “tortura” sono numerosi atti internazionali. Tra questi, la Convenzione Onu del 1984 (conosciuta, non a caso, come “Convenzione contro la tortura”), ratificata dall’Italia nel 1989, che all’articolo 1 la intende come:
Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione.
Affinché l’azione possa essere configurata come reato, specifica la legge, occorre che sia posta in essere da un pubblico ufficiale “o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito”. Si configura, quindi, in presenza di un abuso di potere da parte di un pubblico ufficiale, che agisca perseguendo uno scopo – ossia ottenere dalla persona torturata informazioni o una confessione -, infliggendole intenzionalmente dolore e sofferenze, sia fisiche che psicologiche. Oltre a precisare la natura del reato, la stessa Convenzione ne prevede la ricezione – con eventuale ampliamento delle disposizioni – da parte dei singoli Stati: in Italia, a seguito di un lungo e complesso iter parlamentare, i reati di tortura e di istigazione alla tortura sono stati introdotti – agli articoli 613-bis e 613-ter del Codice penale – con la legge numero 110 del 2017.
Reato di tortura e reato di istigazione alla tortura pene
L’articolo 613-bis del Codice penale italiano punisce con la reclusione da 4 a 10 anni “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”, “se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. Sono poi previste delle fattispecie aggravate del reato:
- la prima, conseguente all’opzione del delitto come reato comune, interessa la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dell’autore del reato. In questo caso la pena prevista è la reclusione da 5 a 12 anni (a patto che le sofferenze per la tortura non derivino unicamente dall’esecuzione di legittime misure preventive o di limitazione dei diritti);
- la seconda consiste nell’aver causato lesioni personali comuni (aumento fino a un terzo della pena), gravi (aumento di un terzo della pena) o gravissime (aumento della metà della pena);
- le altre riguardano la morte come conseguenza della tortura nelle due diverse ipotesi di: morte non voluta (30 anni di reclusione) e voluta (ergastolo).
Il reato di istigazione alla tortura (disciplinato dall’articolo 613-ter del Codice penale), punisce, invece, con la reclusione da sei mesi a tre anni “il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura”.