La Silicon Valley Bank (SVB), prima del suo crac finanziario avvenuto il 10 marzo del 2023, era considerata come la banca di riferimento per i finanziamenti e gestione della liquidità delle Start-Up.

Fondata nel 1983, la SVB vantava una solidità finanziaria notevole tanto da essere considerata la sedicesima banca degli Stati Uniti d’America, e il più grande istituto bancario della Silicon Valley per depositi finanziari.

Con un fatturato stimato nel 2022 pari a 7,40 miliardi di Dollari, l’attività dell’istituto bancario della Silicon Valley era regolamentata dell’autorità finanziaria della California. L’istituto finanziario operava inoltre sotto la supervisione della banca centrale, Federal Reserve Bank (Fed), responsabile della stabilità del sistema finanziario e monetario degli USA.

Le cause del fallimento

Le cause che hanno generato il crac finanziario, che ha travolto l’istituto bancario californiano, sono da attribuire a molteplici fattori tra cui, la clientela di riferimento cui la banca elargiva servizi di finanziamento e gestione della liquidità.

Dal 1983, anno nel quale è stato fondato l’istituto bancario con sede a Santa Clara in California, fino allo scorso 10 marzo, giorno in cui è stato ufficializzato il default economico; la SVB si è affermata sul mercato finanziario come la banca di riferimento per il finanziamento e la gestione della liquidità delle Start-Up.

Per loro natura le Start-Up, che in gergo sono definite come nuove realtà imprenditoriali emergenti e in cerca sia di liquidità per avviare la loro attività, ma anche con la necessità imminente di affermarsi sul mercato per acquisire clientela necessaria a generare flussi di cassa in attivo, sono considerate economicamente molto rischiose da finanziare.

L’elevato indice di rischio, che ogni istituto di credito corre nel finanziare le Start-Up, è dovuto al fatto che possono trascorrere molti anni prima che un’attività imprenditoriale emergente sia in grado di generare profitti; in alcuni casi, in base alla loro mission aziendale, possono non generare mai flussi economici in attivo.

La SVB, essendo l’istituto bancario di riferimento per questa tipologia d’impresa, era un istituto di credito molto esposto ai rischi provenienti sia dalla possibile mancata restituzione dei finanziamenti elargiti alle Start-Up, nel caso in cui esse non fossero riuscite ad affermarsi sul mercato, ma anche dal meccanismo di gestione della loro liquidità che prevedeva investimenti in titoli di stato americani a lungo periodo.

Il cambio della politica monetaria negli USA, contraddistinta da un rapido aumento dei tassi d’interesse dei titoli di stato americani imposti dalla Fed (Federal Reserve Bank), ha procurato un taglio del capitale da novantuno a 75 miliardi di Dollari per le emissioni dei nuovi titoli di stato; il che ha generato un improvviso impoverimento della capitalizzazione della SVB.

In poco tempo, l’aumento dei tassi d’interesse dei nuovi titoli di stato americani a lungo termine nei quali la SVB aveva investito la liquidità delle Start-Up, ha generato la perdita di capitalizzazione con l’impossibilità dell’istituto bancario di sostenere emissioni sul mercato per garantirsi la liquidità necessaria.

Essendo la SVB la banca della Silicon Valley, quindi di una clientela molto propensa nella gestione degli affari in modalità smarth, al primo segnale di difficoltà economica dell’istituto bancario molti correntisti hanno iniziato a chiedere, con un semplice ed istantaneo click, la restituzione della loro liquidità; innescando in questo modo il fenomeno definito come banck run.

SVB e Lehman Brothers, un destino quasi comune

Con il default della Silicon Valley Bank, e con gli USA travolti dal secondo più grande fallimento nella storia finanziaria di un istituto bancario, si riaccendo i riflettori, e ne è quasi naturale il confronto, sul caso Lehman Brothers che, nel 2008, segnò una delle pagine più buie dell’economia a stelle e strisce.

Il fallimento nel 2008 di Lehman Brothers è attribuito alla tossicità dei titoli spazzatura degli allora mutui sub-prime. I mutui, elargiti dagli istituti finanziari a imprese e famiglie per l’acquisto nel settore immobiliare, furono travolti dal default quando la bolla del mercato finanziario del mattone, spinta dal continuo aumento dei prezzi delle case, esplode sotto la pressione dell’aumento dei tassi d’interesse imposti dalla Fed.

Contrariamente, il fallimento della Silicon Valley Bank avviene non per la tossicità dei titoli acquisiti dall’istituto bancario bensì, per la crisi di liquidità generata dallo squilibrio nella gestione del bilancio economico dell’istituto. Avendo investito la liquidità delle Start-Up in titoli di stato a lungo termine, l’aumento dei tassi d’interesse ha prodotto un impoverimento di capitalizzazione.

Volendone fare un confronto diretto tra i due grandi default economici che hanno travolto l’economia americana, l’aumento continuo dei tassi d’interesse è la causa comune.

Nel caso Lehman Brothers del 2008, l’aumento continuo dei tassi d’interesse imposti da una politica economica molto aggressiva, ha generato l’aumento del costo dei finanziamenti che imprese e famiglie dovevano sostenere per l’acquisto del mattone. L’impossibilità di sostenere un tale aumento del prezzo, determinò in poco tempo il crollo della richiesta di case e quindi un conseguente crollo del mercato legato al mattone. Per il fallimento della SVB l’aumento dei tassi d’interesse, imposti dalla Fed, ha determinato una perdita di capitalizzazione, dovuta al fatto che l’istituto bancario investiva la liquidità delle Start-Up in titoli di stato americani a lungo periodo; e aggravata dalla rapidità con la quale la liquidità stessa è stata chiesta in dietro dai propri clienti.

Politiche di vigilanza finanziaria, fondamentali per evitare i default

La finanza degli USA dal 2008, con il crac finanziario della Lehman Brothers, al 2023 con il fallimento della Silicon Valley Bank, ha subito le conseguenze di una politica di vigilanza finanziaria non sempre tempestiva ed efficace a evitare default economici di grandi istituti di credito.

In concomitanza del primo mandato di Barack Obama, insediatosi alla Casa Bianca come 44° presidente degli Stati Uniti d’America dal 20 gennaio 2009 al 20 gennaio 2017, furono confermate e adottate idonee politiche di vigilanza finanziaria in grado di evitare nuovi possibili fallimenti come avvenuto per la Lehman Brothers.

Dalla seconda parte del mandato di Obama, fino alla nomina di Donald Trump come 45° presidente degli USA, la politica di vigilanza finanziaria americana ha subito una notevole riduzione; tanto da consentire operazioni d’investimento molto rischiose agli istituti di credito finanziari.

Finanza europea, protetta dagli accordi di Basilea

In Italia, e in Europa, le probabilità che si possa verificare un crac finanziario nei modi e nei tempi visti per la Silicon Valley Bank sono alquanto remote. Essendo l’operatività degli istituti bancari regolamentata attraverso gli accordi di Basilea, che stabiliscono precisi requisiti patrimoniali degli istituti finanziari; con l’obiettivo di ridurre i danni procurati all’economia dalle banche che intraprendono investimenti troppo rischiosi.

Il mercato finanziario europeo, quindi anche italiano, è regolamentato con norme che impediscono a ogni singolo istituto bancario d’investire tutto il capitale in un unico settore, permettendo un tetto massimo d’investimento del 10% del capitale per ogni settore.

Con questa strategia, che permette a ogni istituto bancario d’investire massimo il 10% del proprio capitale verso un singolo settore, anche nelle peggiori delle ipotesi di default dello specifico settore d’investimento, la diversificazione d’investimento è in grado di salvaguardare l’integrità finanziaria dell’istituto bancario.

Gianni Truini