Chi è Lucy Salani? Morta ieri all’età di quasi 99 anni, è stata la donna transessuale più longeva d’Italia, tra le pochissime sopravvissute ai campi di concentramento nazisti. Ha dedicato la sua vita all’attivismo, diventando un esempio di forza e resilienza per molti. “Si sopravvive perché non c’è altra alternativa. E perché vale sempre la pena di affermare la propria identità”, raccontava. In tanti, ora, ricordano lei e la sua storia con commozione.

Chi è Lucy Salani, la donna transessuale sopravvissuta ai lager

Si è spenta ieri, a Bologna, Lucy Salani. A riferirlo, il fondatore dei Sentinelli e Consigliere regionale lombardo, Luca Paladini. Nata il 12 agosto 1924 da una famiglia antifascista di Fossano, in provincia di Cuneo, consapevole fin da piccola della propria identità queer – e obbligata a vivere in un corpo che non sente suo -, nel corso della Seconda Guerra Mondiale viene arruolata a forza nell’esercito italiano e poi in quello nazista, disertando più volte e finendo per essere internata nel campo di concentramento di Dachau, dove arriva tra il novembre del 1944 e il maggio del 1945. Si salva perché viene detenuta come soldato, non come omosessuale. “Quando mi mandarono a fare il soldato, dissi subito: ‘Ma sono omosessuale!’. Non mi credettero: ‘Vai, vai, dicono tutti così!'”, raccontava, ricordando con dolore ancora vivo i mesi della deportazione.

“Speravo che ci bombardassero, per mettere fine a tutto. Ci hanno denudati, pelati e disinfettati con la creolina. L’inferno di Dante in confronto è una passeggiata”. All’interno del lager, come tutti i prigionieri che non venivano mandati immediatamente nelle camere a gas, aveva un compito: quello di apporre delle targhette con dei numeri ai cadaveri, caricarli su un carro e portarli ai forni crematori. “Vivere per me è un miracolo, sono già morta allora”, diceva, spiegando di avere ancora impresse nella mente le immagini delle “intermanibili file di cadaveri ammassati sopra ai carretti prima di essere cremati”. “Si sopravvive perché non c’è altra alternativa – rispondeva a chi le chiedeva com’è possibile vivere dopo aver provato tanto dolore -. E perché vale sempre la pena di affermare la propria identità”.

Lei l’ha sempre fatto. E dopo essere sopravvissuta a Dachau, negli anni Ottanta aveva deciso di affrontare l’operazione di cambio di sesso in una clinica londinese. “Dopo essere uscita viva dal lager mi sono scatenata, ho vissuto intensamente. Ho iniziato a lavorare per una compagnia facendo spettacoli di cabaret, viaggiavo il più possibile. Ma l’ombra di quel luogo non mi ha mai abbandonata. In qualche modo mi sento come se fossi già morta a Dachau, quindi la vita che ho avuto l’opportunità di vivere è stata comunque un miracolo, anche se ho subito molta discriminazione. Ho cercato di vivere vicino alle persone che mi volevano bene, rimanendo libera, anche se a tanti non andava bene chi io fossi”, diceva.

Dopo aver vissuto in prima persona il dramma della discriminazione, ha fatto dell’attivismo una ragione di vita, diventando un esempio di forza e resilienza per molti. “La memoria è un dono, un’eredità di cui dovremmo far tesoro. L’ho fatto io in passato e ora molte persone lo stanno facendo con la mia storia e questo mi dà speranza. Senza la memoria la nostra comunità commetterebbe ancora più facilmente gli errori del passato”, affermava in occasione del Giorno della memoria, il 27 gennaio scorso. Sono in tanti, ora, a ricordare lei e il suo vissuto, fatto di vita dopo la morte, di luce dopo l’ombra e di felicità dopo il dolore. “Ho già visto tutto, sia nel bene che nel male – affermava -. È tempo per me di esplorare altri mondi”.