Si è detto ancora ossessionato dal pensiero della donna a cui ha tolto la vita, Giovanni Padovani, il 27enne reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, uccisa a colpi di martellate, sotto casa, lo scorso 23 agosto. L’uomo si trova in carcere con l’accusa di omicidio pluriaggravato da futili motivi, relazione affettiva, stalking e premeditazione. Nel corso dell’ultimo interrogatorio davanti ai pm ha ricostruito quanto accaduto quella sera, parlando di una “relazione tossica” e negando di essere “un persecutore”. Ma le carte dell’inchiesta dicono tutt’altro.
Alessandra Matteuzzi Gianni Padovani: le parole del killer sulla vittima
“Adesso che ho ben compreso che Alessandra Matteuzzi è morta, riferisco di essere cosciente che il mio gesto è stato gravissimo e che ne devo pagare le conseguenze, vi chiedo anche di aiutarmi a liberarmi dall’ossessione per Alessandra che tutt’ora mi assale”, aveva confessato davanti ai pm della Procura di Bologna Giovanni Padovani, il 27enne reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata, uccisa a martellate nel quartiere Arcoveggio di Bologna lo scorso agosto. Nel corso dell’interrogatorio, l’uomo aveva parlato di una “relazione tossica”, con “morbosità reciproche”, negando di essere un “persecutore”. Il controllo dei telefoni, stando ai suoi racconti, era “un’iniziativa reciproca e in ogni caso non continuativa”, così come la condivisione delle password dei loro profili social. Una versione, questa, che non combacia con le carte dell’inchiesta, che dipingono a pieno la sua ossessione per la 56enne. Ossessione poi sfociata nel brutale omicidio. L’uomo, arrestato con l’accusa di omicidio pluriaggravato da futili motivi, relazione affettiva, stalking e premeditazione, sarà processato di fronte alla Corte d’Assise a partire dal prossimo 3 maggio. Nel frattempo sarebbe stato trasferito nel reparto psichiatrico dell’istituto penitenziario di Piacenza. Fino a quando era a Bologna, avrebbe ricevuto numerose lettere da parte di donne, lettere che teneva in bella mostra all’interno della sua cella.
La testimonianza di chi ha assistito al brutale omicidio
“Non mi era mai capitato in vita mia di assistere direttamente a una scena così cruenta”, avrebbe detto agli inquirenti una delle persone presenti sul luogo del crimine la sera del brutale assassinio, le cui parole sono state messe agli atti dalla Procura in vista del processo. Secondo il testimone, dopo aver colpito ripetutamente Alessandra con un martello e perfino con una panchina, Padovani avrebbe raccolto da terra il telefono della donna e, scorrendo le chat, gliele avrebbe mostrate, aggiungendo: “Vedi che mi tradisce”. La 56enne a quel punto era già esanime, come l’avrebbero trovata di lì a poco i soccorritori, allertati sia dalla sorella – che era al telefono con la vittima al momento dell’aggressione -, sia dai residenti dell’area. “Per me le condotte che il ragazzo portava avanti erano quelle di una persona scossa, ma comunque centrata, presente e attenta a quello che stava facendo”, avrebbe aggiunto il testimone, un uomo che a un certo punto sarebbe anche intervenuto, frapponendosi tra Padovani e la sua vittima. “Lui era lucido, freddo e continuava a dire: ‘Non ce l’ho con voi, tanto in carcere ci vado'”, avrebbe confermato un’altra vicina, anch’essa intervenuta. Il killer ha sempre sostenuto di non aver premeditato l’omicidio, nonostante gli inquirenti abbiano appurato come, nelle settimane precedenti, avesse più volte cercato su Google frasi come “pena omicidio volontario” o “come uccidere a sprangate”. Secondo lui sarebbero stati soltanto “sfoghi virtuali” e la sera della morte di Alessandra avrebbe agito d’impulso, perché colto da una furia cieca. Avrebbe portato con sé il martello, dice, solo per difendersi dal cognato, che più volte “era stato minaccioso”. Nei confronti della vittima era soggetto a una procedura restrittiva a seguito di una denuncia per stalking presentata qualche mese prima.