Il cambiamento climatico sta avendo degli impatti devastanti sull’agricoltura, uno dei più importanti settori del nostro Paese. A rivelarlo sono i dati raccolti dalle diverse associazioni che si occupano del comparto agricolo. Parla a Tag24 Caterina Avanza, responsabile dell’agricoltura in Azione.
Agricoltura e cambiamento climatico
Previsioni allarmanti quelle sull’agricoltura a fronte dei cambiamenti climatici che potrebbero mutare in maniera irreversibile questo settore. Ad oggi sono tante le preoccupazioni ed un intervento della politica è quanto mai necessario per garantire aiuti e sopravvivenza ad un comparto fondamentale del nostro Paese. Caterina Avanza, responsabile dell’agricoltura del partito Azione di Carlo Calenda ci racconta
A fronte dei rischi della crisi climatica cosa proponete al governo per la tutela del Made in Italy?
Da opposizione segnaliamo che c’è un’urgenza da gestire in materia di cambiamento climatico: lo vediamo sul vino e lo vediamo su tanti altri prodotti che cambiamento climatico e siccità rendono la produzione in Italia più costosa, più complicata e con del rendimento meno importante. Chiaramente ci sono diverse azioni che l’Unione europea sta mettendo in piedi e che sosteniamo con grande forza, soprattutto per le questioni riguardanti ricerca scientifica e tecniche genomiche che permettono di avere delle specie sia vegetali che animali maggiormente resistenti sia a malattie che a siccità, questa proposta dovrebbe arrivare nei prossimi mesi dalla commissione europea: sta prendendo ritardo e secondo noi è un vero peccato perché queste tecniche sono già presenti in Argentina, Israele ed altri Paesi e non sono tecniche OGM ma modificano il gene con il metodo Crispr cioè le forbici genetiche che permettono d tagliare un genoma che permette di creare una pianta più resistente a una malattia o meni consumatrice da acqua per esempio
A fronte dei rischi della crisi climatica cosa proponete al governo per la tutela del Made in Italy?
Per difendere il Made in Italy la prima cosa da fare è un piano anti siccità: investire i fondi del PNRR dedicati alla modernizzazione della rete idrica che perde il 40% della risorsa a fronte dell’8% in Germania. Fusionando le mille piccole imprese di gestione dell’acqua che non hanno la taglia critica per assumere gli investimenti necessari. E applicando il regolamento europeo per il riutilizzo delle acque reflue. Senza acqua, niente agricoltura, senza agricoltura, niente Made in Italy! Altro punto fondamentale la ricerca: l’Unione europea sta lavorando ad una proposta legislativa per autorizzare le nuove tecniche genetiche. Delle tecniche che permettono di avere delle specie sia vegetali che animali maggiormente resistenti sia a malattie che a siccità, questa proposta dovrebbe arrivare nei prossimi mesi, sta prendendo ritardo (per un’opposizione ideologica dei Verdi e di una parte dei socialisti) e secondo noi è un vero peccato perché queste tecniche sono già presenti in Argentina, Israele ed altri Paesi e non sono tecniche OGM ma modificano il gene con il metodo Crispr cioè le forbici genetiche che permettono di tagliare un genoma che permette di creare una pianta più resistente a una malattia o alla siccità per esempio. Infine un piano per l’agricoltura di precisione basata sui dati che permetterà un’intensificazione sostenibile cioè di produrre di più con meno fertilizzanti e meno fitofarmaci.
Quali sono i comparti maggiormente colpiti dalla crisi climatica?
Ci sono colture che sono particolarmente complesse oggi come il mais: la questione della siccità sul mais in Italia ha fatto abbassare quasi del 20% il raccolto di mais, anche il grano e la frutta sono molto impattati. Persino il vino, cultura che non necessita irrigazione, comincia a soffrire. Queste temperature così importanti hanno un impatto anche sul grappolo d’uva anche in zone del Nord come in Piemonte, c’è preoccupazione da parte dei viticoltori. In più della siccità ci sono altri fattori climatici come le grandinate a ripetizione che possono creare molti danni. Ci sono poi altri fattori come le malattie, la aviaria e la peste suina africana. Quest’ultima, se dovesse estendersi dai cinghiali agli allevamenti di suini marcherebbe uno stop netto a tutto l’export del Made in Italy per quanto riguarda prosciutti, salami e insaccati vari.
Quale potrebbe essere l’impatto sulla nostra economia?
Solo le DOP rappresentano un giro di affari da 13 miliardi all’anno solo per il Made in Italy. Tutto l’agroalimentare italiano vale il 15% del PIL, stiamo parlando di un settore fondamentale che in più è assolutamente legato alla nostra identità nazionale. Sosteniamo le misure che sta prendendo l’Unione europea per lottare contro il riscaldamento climatico, come il green deal che vuole la neutralità carbonio entro il 2050 ma non siamo sempre in accordo sul percorso per arrivarci. Mi spiego, la neutralità ambientale in agricoltura è possibile a condizione che si accompagnino gli agricoltori verso dei modelli più performanti a livello di emissioni ma anche a livello economico. Abbiamo già una grande difficoltà a garantire il ricambio generazionale in agricoltura. Senza agricoltori o con meno agricoltori, continueremo a nutrirci ma con prodotti importati da paesi che praticano un’agricoltura molto più inquinante della nostra. Sarebbe un grosso errore imporre una transizione troppo rapida che vedrebbe il calo della capacità produttiva in Europa e un aumento di import di alimenti prodotti con metodi meno green dei nostri.
Produzione Dop e del Made in Italy: c’è qualche paese che ha fatto politiche nazionali dalle quali si può prendere spunto?
L’Italia ha un’ottima politica di valorizzazione delle sue DOP. La politica europea sulle indicazioni geografiche è una politica che funziona, con un giro d’affari di 76 miliardi l’anno per tutta l’Ue e che viene riconosciuta negli accordi internazionali. Sono felice che il ministro dell’agricoltura Lollobrigida abbia annunciato che sta considerando di chiedere al parlamento italiano di ratificare il CETA. Giorgia Meloni lo ostacola con forza in passato, bene che abbia cambiato idea anche su questo. Con il CETA, l’Italia fa il 36% in più di export con il Canada e invece le quote di carne che il Canada poteva mandare in Europa non sono mai arrivate, quindi non abbiamo mangiato carne agli ormoni o pollo al cloro come hanno tentato di farci credere! Le Dop sono protette in grande parte negli accordi di libero scambio ed è una politica che sta funzionando. Oggi è in corso l’aggiornamento del regolamento europeo sulle indicazioni geografiche che rafforzerà ancora di più la tutela contro frodi ed italian sounding ed altri utilizzi fraudolenti delle indicazioni geografiche. Le filiere Dop permettono un valore aggiunto al prodotto e quindi all’agricoltore di vivere meglio garantendo un benessere per tutti.