Pensioni uscita 2023 o 2024, ecco perché l’assegno mensile è più alto rispetto al passato. La buona notizia per i neo-pensionati o per chi si appresta a uscire dal lavoro arriva dalla revisione dei coefficienti di trasformazione per il biennio in corso che sono al rialzo. Si tratta di indici che trasformano il montante contributivo accumulato durante gli anni di lavoro e per effetto dei riscatti in assegno mensile di pensione. Detti coefficienti, introdotti per la prima volta nel 2009, sono diventati criteri-pilastro nel calcolo della pensione. Per i primi anni, la revisione avveniva ogni tre anni, poi a partire dal 2021-2022 l’aggiornamento avviene ogni due anni. Dopo cinque revisioni sempre al ribasso dei coefficienti di trasformazioni – con una velocità più elevata nel far scendere l’assegno mensile da quando si è passati ad aggiornamenti biennali anziché triennali – a partire dal 1° gennaio 2023 l’Inps calcola la pensione con indici più alti rispetto allo scorso biennio scorso biennio. Ciò significa che chi è andato in pensione il 1° gennaio 2023 prende di più, a parità di contributi, di chi ci è andato anche un giorno prima, il 31 dicembre 2022. Tutto questo meccanismo poggia sulla speranza di vita che ha cambiato rotazione proprio negli ultimi anni, determinando anche la stabilizzazione della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni fino al 31 dicembre 2024.
Pensioni uscita 2023 2024, ecco perché l’assegno mensile è più alto
Chi è andato in pensione a partire dal 1° gennaio 2023 o ci andrà entro il 31 dicembre 2024 avrà diritto a un trattamento previdenziale più alto rispetto a chi è andato in pensione prima, anche di un solo giorno, ad esempio il 31 dicembre 2022. Ciò dipende dai coefficienti di trasformazione, i quali rappresentano gli indici che, moltiplicati per il montante contributivo accumulato durante la vita lavorativa del contribuente, determinano il trattamento mensile di pensione. Da quando è stato introdotto il meccanismo di calcolo della pensione con questi indici (nel 2009), l’assegno mensile è stato sempre al ribasso perché l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione segnava valori sempre in diminuzione. L’andamento, nei vari trienni prima e bienni poi, è avvenuto al ribasso perché la speranza di vita dei contribuenti è stata sempre al rialzo. Ciò che bisogna considerare è l’aspettativa di vita a partire dai 65 anni di età: più è alta (e dura per tutta la vita del pensionato) e più i coefficienti di trasformazione sono al ribasso perché bisogna “spalmare” l’ammontare totale della pensione su un numero più lungo di anni. Diversamente, se la speranza di vita si accorcia, il complessivo della pensione che un contribuente riceverà per la sua vita da pensionato dovrà essere più elevato, perché spalmato su un numero inferiore di anni.
Calcolo assegno di pensione ed età di uscita: perché la speranza di vita è il fattore decisivo
È ciò che è stato determinato dall’Inps sulla base dei dati demografici Istat per le pensioni a decorrere dal 1° gennaio 2023 e che determinerà gli importi di pensione di chi ci andrà fino al 31 dicembre 2024. Nella determinazione dei coefficienti di trasformazione sono entrati nel calcolo anche gli anni dell’emergenza Covid, nei quali si è registrata una riduzione della speranza di vita nella popolazione di ultrasessantacinquenni. Di conseguenza, i coefficienti di trasformazione – per la prima volta dalla loro introduzione da 14 anni a questa parte – sono stati rivisti al rialzo, anziché al ribasso, determinando assegni di pensione più elevati rispetto al passato. Pensioni uscita 2023 o 2024, l’andamento si riflette anche nella determinazione del criterio dell’età per determinare l’uscita dal lavoro dei contribuenti: dopo gli aumenti della pensione di vecchiaia (due mesi in più dal 2013, quattro mesi in più dal 2016, due mesi in più dal 2019 che hanno portato la pensione ordinaria a 67 anni di età), la riduzione della speranza di vita ha determinato il blocco dell’età pensionabile fino al 31 dicembre 2024.
Pensione di vecchiaia a 67 anni, fino a quando?
Ciò che accadrà dal giorno successivo è ancora da determinare sulla base delle osservazioni della speranza di vita dell’Istat dei prossimi anni. In realtà, dati alla mano, l’età della vecchiaia avrebbe dovuto essere rivista al ribasso per la speranza di vita in decrescita, ma ciò non è stato possibile perché la legge ne stabilisce il divieto. Ma l’eccedenza in positivo può essere “messa a credito” per l’aggiornamento successivo e sottratta all’eventuale aumento della speranza di vita. È questa la ragione per la quale da due bienni l’età della pensione di vecchiaia è ferma a 67 anni e lo sarà ancora fino al 31 dicembre 2024, non escludendosi un’ulteriore proroga per il biennio successivo se il valore della speranza di vita dovesse risultare ancora in negativo o prossimo al numero neutro. Infine, è da osservare anche che i coefficienti di trasformazioni per determinare l’assegno di pensione, sono più alti quanto più si rimanda l’uscita dal lavoro: a parità di anni di contributi versati, chi esce da lavoro a 67, 66 o 65 anni ha una pensione più alta di chi va in pensione con largo anticipo a 62, 63 o 64 anni.