Bambino Verona deportato Russia. Si espongono i familiari del bambino: parlano suo padre e i nonni del piccolo Roman, scomparso dopo che sua madre (ucraina) lo ha portato nel Donbass.
Un vero e proprio appello, un allarme, dal momento che il bimbo potrebbe essere stato deportato in Russia.
Bambino Verona deportato Russia
Un bambino di 6 anni con cittadinanza italiana, nato a Verona, potrebbe essere stato deportato in Russia dal Donbass: presto il padre e i nonni hanno lanciato un appello sul quotidiano locale (vivono nella provincia scaligera): il piccolo, dal nome Ronan, infatti, era stato portato dalla donna nel Donbass e mai più riportato a Verona. La madre ha iniziato a rendere i contatti con il bambino sempre più difficili e, a partire dall’ultimo anno, a vietarli completamente: prima, infatti, il padre poteva svolgere delle videochiamate con il piccolo, che, per scelta della madre, non parlava italiano, ma soltanto l’ucraino. Sulla madre, attualmente, si sa che lavorava per i servizi segreti ucraini e che sarebbe passata, poi, alla parte filo-russa.
La vicenda di Ronan è da lungo tempo oggetto di una delicata disputa familiare, per la quale i nonni e il padre hanno lanciato un appello al presidente della Repubblica: la madre, infatti, ha portato con sé il bambino in Ucraina, dopo tre mesi dalla sua nascita e dopo il divorzio dal padre. I nonni non lo vedono dal 2018. Secondo altre informazioni, inoltre, il bambino potrebbe trovarsi in un costante pericolo, dal momento che un missile sarebbe anche caduto a meno di due chilometri dall’abitazione dove il piccolo risiede con la madre.
Con le nuove accuse di deportazione lanciate contro Vladimir Putin, contro cui è stato emesso un mandato d’arresto per il “crimine di guerra” di “deportazione illegale” di bambini nelle zone occupate dell’Ucraina, il padre di Ronan e i nonni sono diventati ancor più preoccupati per la difficile situazione e hanno ipotizzato una sua possibile e triste deportazione.
Bambino deportato: l’appello dei familiari
Arriva dunque l’appello da parte dei nonni che hanno perso contatto con il bambino ormai da svariato tempo. Non si hanno più notizie su di lui, i contatti sono diventati sempre meno frequenti, fino ad azzerarsi del tutto. Dalle dichiarazioni traspare il senso di incertezza e la richiesta d’aiuto per una situazione che diventa sempre più urgente:
“Malgrado l’interessamento del console italiano in Ucraina e i vari tentativi fatti da noi anche con l’aiuto di politici locali – hanno spiegato – la posizione della madre si è ulteriormente irrigidita, azzerando totalmente i contatti da circa un anno. A tuttora non sappiamo dove Roman sia e con chi viva. Ci appelliamo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Noi riceviamo notizie frammentarie da persone che rischiano la loro vita fornendoci queste informazioni. Fino ad un anno fa facevamo qualche videochiamata con il piccolo, che non parla italiano per scelta della madre, poi nemmeno quella, e i numeri di telefono risultano bloccati”.
L’accusa del crimine di guerra
Il presidente russo Vladimir Putin è accusato del crimine di guerra di “deportazione illegale di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina sino alla Russia. Ad emettere il mandato d’arresto nei suoi confronti La Corte penale internazionale.
Per lo stesso sesso genere di reato sono avanzate le accuse per la commissaria dei diritti dei bambini del Cremlino, Maria Alekseyevna Lvova-Belova.
Proprio lei, qualche giorno fa, ha rivendicato l’adozione di una 15enne di Mariupol. Per la Cpi, questi reati si sarebbero verificati nel territorio occupato ucraino dal 24 febbraio 2022, ovvero dall’inizio dell’invasione. Si parla quindi ormai di migliaia di deportazioni.
Ricordiamo inoltre che l’Onu riconosce nella Federazione Russa una violazione del diritto internazionale:
“Le situazioni esaminate dalla Commissione circa il trasferimento e la deportazione di bambini all’interno dell’Ucraina e verso la Federazione russa violano il diritto internazionale umanitario e costituiscono un crimine di guerra“.