Venti anni dopo l’inizio della guerra l’Iraq è ancora alle prese con diversi problemi. Ecco le tappe che dal 2003 a oggi ha segnato la storia dello stato mediorientale.

Venti anni di guerra in Iraq

Il 20 marzo 2003 iniziò l’invasione dell’Iraq che avrebbe portato alla caduta di Saddam Hussein qualche settimana dopo. Da allora diversi leader iracheni hanno cercato di disegnare nel loro paese un percorso democratico senza alcun successo e le speranze hanno lasciato un vuoto politico che ancora oggi è in parte presente. L’Iraq ha sofferto negli ultimi venti anni moltissime problematiche proprio a causa dell’assenza di personalità politiche capaci di portare il Paese in una direzione diversa.

Le quattro fasi della guerra

Secondo lo U.S. Institute for Peace ci sono quattro fasi fondamentali nella storia recente dell’Iraq: la prima è tra il 2003 e il 2007, iniziata con un’autorità provvisoria della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Il 2005 invece doveva rappresentare un anno di svolta: gli iracheni votarono la nuova Costituzione, scritta all’insegna del rispetto delle tante minoranze etniche e religiose che abitano il Paese. L’equilibrio politico del potere sarebbe cambiato quando, per la prima volta dopo secoli di dominio sunnita, la maggioranza sciita rivendicò la poltrona del primo ministro, si tratta di un passaggio nella storia irachena fondamentale perché fece scoppiare però le tensioni settarie, che portano agli attentati del santuario di al-Askari, un luogo sacro sciita, all’inizio del 2006. Tensioni che si sarebbero solo intensificate negli anni successivi.

Terrorismo ed estremismi

Nel 2007 si registrò uno dei più cruenti episodi della storia recente in Iraq: l’attacco contro i villaggi yazidi del 19 agosto da parte del gruppo terroristico Al-Qaida. A seguito di questo tragico episodio gli Usa inviarono 30 mila soldati per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Nel frattempo il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki aveva cominciato a richiamare ex membri del regime baathista nel governo. Nel 2011, dopo otto anni dall’inizio del conflitto, le truppe americane di ritirarono dal suolo iracheno: l’operazione cominciò con il ritiro dei soldati dalle grandi città nel 2009 e con l’annuncio il 31 agosto 2010 della fine delle operazioni di combattimento. Nello stesso anno la morte dello storico leader di Al Qaida Osama Bin Laden sembrava aver messo un freno all’estremismo sunnita.

Il califfato nero

Dopo il ritiro delle truppe statunitensi l’Iraq rimane coinvolto nella guerra civile siriana e nel 2013 Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico dell’Iraq, annunciò l’unione con il gruppo jihadista di Al-Nusra dando vita all’Isis: si apre un nuovo tragico capitolo della storia contemporanea dell’Iraq e del Medio Oriente. Pochi mesi dopo lo Stato Islamico assunse il controllo della città di Falluja e della provincia irachena di al-Anbar espandendosi fino al territorio del Kurdistan. Al Baghdadi, rotti definitivamente i legami con al-Qaeda, proclama la nascita di un Califfato universale. Il conflitto interno con il Califfato durerà fino al 2017 quando il premier al-Abadi dichiarò ufficialmente vinta la guerra allo Stato islamico.

Lo stallo politico iracheno

Nonostante i recenti tentativi di normalizzazione del Paese negli ultimi cinque anni restano ancora delle importanti criticità. Tuttavia questi ultimi anni sono stati i più tranquilli dal 2003: la violenza armata continua ad esistere in forme diverse, ma è molto più rara rispetto al passato. Persiste il problema relativo al Kurdistan dopo l’occupazione di alcuni territori curdi nel 2017. Il settore pubblico iracheno è ancora oggi caratterizzato da un forte clientelismo con inevitabili effetti sul mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione del Paese si è attestato intorno al 14,19% nel 2021. Inoltre il debito pubblico ha raggiunto l’84% del Pil. Le elezioni del 2021 hanno consegnato la vittoria del partito Da’wa e nel 2022 lo sciita Al Sudani è stato nominato premier dal presidente Rashid.