È il 1983 quando Enzo Tortora viene tratto in arresto dai carabinieri con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico, sulla base delle dichiarazioni rilasciate da tre malavitosi, in carcere proprio per mafia. Si tratta, però, di un errore e lo si scopre solo tre anni più tardi, al termine di un vero e proprio calvario giudiziario. Su questo è incentrato il libro “A testa alta”, in libreria a partire dal 21 marzo prossimo, scritto dalla figlia Gaia, che, in un’intervista al Corriere della Sera, punta ora il dito contro quanti non hanno creduto all’innocenza dell’uomo. Secondo lei, se lo avessero voluto, gli inquirenti che lavoravano al caso avrebbero potuto scagionarlo in pochi giorni. A permetterne l’assoluzione fu invece l’intervento di alcuni giornalisti, tra i quali Vittorio Feltri.
Enzo Tortora figlia Gaia dichiarazioni: “Nessuno ha voluto vedere la sua innocenza”
“Era chiaro fin dall’inizio che l’inchiesta fosse piena di incongruenze e nessuno ha voluto vedere. Nessuno si è mai posto domande. E allora chiedo adesso: come mai soltanto Vittorio Feltri si prese la briga di leggere gli atti e scrivere che forse la realtà non era come la stavano raccontando?”. A chiederselo, in un’intervista al Corriere della Sera, è Gaia Tortora, figlia di Enzo Tortora, parlando del calvario giudiziario affrontato dal padre, volto noto della televisione italiana, negli anni Ottanta, quando fu ingiustamente arrestato con l’accusa di traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico sulla base delle dichiarazioni rilasciate in carcere da alcuni malavitosi, tra i quali Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra, legato a Raffaele Cutolo.
Accuse che lo portarono in carcere e poi agli arresti domiciliari, ma del tutto infondate. “Mio padre in quel momento era l’uomo più popolare d’Italia. La sua trasmissione aveva ascolti che oscillavano tra i 28 e i 30 milioni di telespettatori. Un risultato mostruoso, ora vedo persone esultare quando arrivano a un milione di spettatori. Dava fastidio, ma nello stesso tempo parlare di Tortora faceva fare un salto di qualità ai pentiti e all’inchiesta. Per questo dico che c’è stato dolo”, racconta la figlia, che il prossimo 21 marzo uscirà in libreria con un libro dal titolo “A testa alta”, in cui ripercorre il caso di malagiustizia che ha coinvolto suo padre.
“Sarebbero bastate quattro verifiche sulle cose che raccontavano i pentiti e in 48 ore tutto si sarebbe chiarito. Ne cito soltanto due così si comprende bene. Nell’agendina di Giuseppe Puca, uomo di Cutolo, erano riportati due numeri di tale ‘Enzo Tortonà’, che nei verbali diventò ‘Enzo Tortorà’. Eppure nessuno si prese la briga di controllare, di provare a chiamare. Il giorno in cui Gianni Melluso raccontò di aver consegnato a mio padre una scatola di scarpe piena di droga in realtà era rinchiuso nel carcere di Campobasso. Ma questo fu Feltri a scoprirlo, non i magistrati”. La donna sostiene che nessuno abbia voluto credere all’innocenza dell’uomo; furono alcuni giornalisti, tra cui Vittorio Feltri, a esprimere i propri dubbi sul suo arresto, permettendo una svolta nelle lunghe indagini che avrebbero portato poi alla sua assoluzione.
Tra le persone che sono state vicine alla sua famiglia in quel difficile momento, Gaia Tortora ricorda ora Piero Angela, che definisce “un secondo padre”. “Ancora adesso sua moglie Margherita è presente nella nostra vita. Quando lui e Silvia (l’altra figlia di Enzo Tortora, ndr) sono mancati si è aperto un baratro. E poi voglio ricordare quei giornalisti, pochi, che lo hanno difeso. Montanelli, Biagi, Bocca hanno avuto il coraggio di denunciare che cosa avevano fatto i magistrati. Oltre a Feltri che, come ho detto, lo ha fatto quando tutti erano allineati”, ha concluso.