I dieci anni che hanno cambiato il Papato. Possiamo sintetizzare così, senza scadere nella retorica, l’anniversario che Francesco ha festeggiato lo scorso 13 marzo. E lo hanno cambiato innanzitutto nello stile “inaudito” di un papa di strada” (lo diciamo nel senso che usa Bergoglio per definire i preti e i vescovi e i cardinali che va scegliendo).

10 anni di pontificato di papa Francesco

Un papa che sin dalle prime parole dalla loggia centrale vaticana, la sera di quel 13 marzo 2013: “Buonasera!” e “Chiedo la vostra preghiera”, ha cancellato di colpo la rigida formalità che fa del pontefice una figura sacrale, lontana, quasi un papa-re, visto in un’ottica romanocentrica o eurocentrica, ed ha fatto scendere alla Chiesa e al Vaticano quell’ultimo gradino che, dopo il Concilio Vaticano II, rimaneva nella distanza della Chiesa dal mondo e dal Popolo di Dio. Cosa che ha fatto infuriare i due terzi delle gerarchie cattoliche e dei giornalisti ad esse associati. Bergoglio ci ha insomma mostrato la figura di un papa, pastore -come dice Francesco- che sta in mezzo alle sue pecore, qualche volta in testa, qualche volta in coda, altre nel centro, ma sempre in cammino, in uscita, come Chiesa delle periferie, sia urbane che sociali che umane. Là dove, come si vede, forma e sostanza si immedesimano e si fanno novità assoluta. Da qui nasce la grande simpatia della gente e il grande rispetto delle cancellerie del mondo per questo figlio di emigrati italiani in Argentina, che dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti ha fatto un perno del suo magistero. Un altro elemento fondamentale del suo pontificato è la necessità di de-clericalizzare la Chiesa, che questo papa ha affermato dal principio, in fedeltà al Concilio e soprattutto al Vangelo di Gesù Cristo. Quel Vangelo -ci ricorda nei fatti il Francesco di Roma, sull’esempio del Francesco di Assisi- che va inteso come fedeltà innanzitutto ai poveri, agli ultimi, agli scartati, come ama dire Bergoglio.

La condanna delle guerre e il rapporto con Madre Terra

Altro momento ispiratore del suo pontificato, poi, è la condanna del multimiliardario commercio delle armi, che sta dietro ad ogni guerra e che ha ormai militarizzato anche le democrazie. Ed è estremamente importante il suo magistero a favore di un nuovo rapporto con la Natura, con la Madre Terra. Nella sua enciclica più grande, la “Laudato si’”, Bergoglio giunge a dire che: ”Esiste una sorta di unica famiglia universale dei viventi”, che, in una gerarchia che non separa ma lega, abbraccia il filo d’erba all’uomo, alle stelle. La difesa degli animali, delle piante, e delle creature cosmiche come l’acqua, l’aria e la terra, è sempre associata in papa Francesco alla difesa dell’uomo, dei poveri innanzitutto e dei popoli originari come gli Indios dell’Amazzonia, che sono una realtà imperdibile per un’umanità sfidata addirittura dal pericolo della sua scomparsa. L’ha chiamata ecologia integrale, che ha per suo antagonista principale, quella tecnocrazia, che il papa vede anche come causa prima della guerra, nonché della gravissima disuguaglianza che tormenta il pianeta, e dell’altrettanto gravissima crisi ambientale. Tecnocrazia che attenta anche all’integrità dell’umano, che va difeso -dice Francesco- dalla minaccia del post-umano, del transumano e del disumano.

Raffaele Luise, per la Rubrica VaticanoMondo.