É polemica per la presenza della premier Giorgia Meloni al Congresso della Cgil, non sono mancate proteste nella giornata di oggi e nelle precedenti. Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al popolo, racconta a Tag24 le motivazioni della protesta.
Proteste al Congresso della Cgil contro la Meloni
“Pensati sgradita” questa è la frase simbolo della protesta che si è tenuta contro la presenza della premier Giorgia Meloni al XIX congresso della Cgil che sta avendo luogo a Rimini. Nel corso della mattinata è partita anche il lancio dei peluche in segno di disapprovazione per la gestione dei fatti di Cutro. Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo, racconta a Tag24 cosa è successo oggi.
Per cosa è stata contestata principalmente la Meloni?
Io credo che ci siano due motivi di fondo: uno è strutturale ed è il fatto che l’invito da parte del segretario della Cgil, Maurizio Landini, faccia fare un passo in avanti nel processo di normalizzazione dell’estrema destra che vediamo non solo in Italia ma in tutta Europa- è come se il Cgt in Francia dovesse invitare Marine Le Pen se dovesse vincere le presidenziali. La Meloni è stata poi contestata per le politiche che ha sempre portato avanti e tra l’altro ha ribadito dal palco la contrarietà al salario minimo, alle leggi sulla precarietà e anche per la disumanità che è diventato un marchio di fabbrica di questo governo, a partire dalla strage di Cutro. All’esterno si sono mobilitati lavoratori e lavoratrici portando con sé peluche che la premier ha visto a Bucha in Ucraina e per i quali si è commossa. Non si è commossa evidentemente per la strage Cutro, anche nell’incontro di ieri con i famigliari delle vittime è arrivata a chiedere se sapessero che la traversata del Mediterraneo era pericolosa.
Quali sono i temi che avete portato fuori la sede del congresso?
Portiamo avanti da tempo una campagna per il salario minimo che sia di almeno 10 euro l’ora e che copra tutti i settori, tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici. Sotto i 10 euro per noi è sfruttamento. C’è poi il tema del reddito di cittadinanza, uno strumento che ha permesso a più di un milione di persone di non cadere sotto alla soglia di povertà quindi andrebbe allargato e non eliminato o ristretto come sta facendo il governo Meloni. La riforma proposta dal governo con l’istituzione del Mia con cui si parla di una soglia di 375 euro per quelli che definiscono occupabili ma sono i vecchi disoccupati significa mettere una soglia che giova solo ad un soggetto nell’economia italiana: quegli imprenditori che vogliono tenere i salari estremamente bassi. Con 375 euro non si sopravvive, molte persone saranno costrette ad accettare qualunque lavoro in qualunque condizione, il passaggio a Mia rappresenta un maggior potere di ricatto nelle mani degli imprenditori e un minor potere contrattuale per i lavoratori e le lavoratrici. Un terzo tema è quello della settimana lavorativa di quattro giorni-riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario-ormai sono cento anni che la settimana lavorativa resta stabile sulle 40 ore. Malgrado i miglioramenti tecnologici, i passi in avanti della produttività e il fatto che ci troviamo in momento di crisi multiple c’è chi si è avvantaggiato e ha continuato a macinare profitti su profitti, cioè le grandi imprese. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, secondo noi, è un vettore di trasformazione visto che i miglioramenti economici dovrebbero riversarsi come miglioramenti nelle vite comuni: cosa che non stiamo vedendo.
Lavoro in Italia: cosa urge maggiormente?
Tutti sono temi che vanno affrontati, a partire dal salario minimo di 10 euro. In Italia però c’è l’assenza di una visione politica industriale e di volontà. Nessuno negli ultimi anni ha avuto una visione così lungimirante, lasciando mano libera ai privati: c’è un fare banditesco da parte d’industrie che prendono incentivi per poi delocalizzare senza restituire nulla alla comunità anzi lasciando per strada centinaia-se non migliaia-di lavoratori. Si è consegnato al Meridione il ruolo di piattaforma per i ricchi del Nord Europa, serve una politica capace di indirizzare gli investimenti. Noi in questo momento vediamo la transizione ecologica lasciata alla volontà del privato che può fare quello che vuole, crediamo invece nell’intervento dello Stato che si faccia “vettore” di questo processo.
Come si stanno muovendo gli altri sindacati d’Europa?
Questa è una rivendicazione forte che spero sia arrivata anche all’interno del congresso della Cgil. Mentre qui dal punto di vista sindacale sono i sindacati di base all’estero i sindacati si muovono: negli ultimi mesi in Gran Bretagna c’è stata un’ondata di scioperi come non si vedeva dagli anni ’80 e in Francia in tantissimi sono scesi in piazza contro la riforma delle pensioni e contro l’innalzamento dell’età pensionabile e ieri dopo l’atto antidemocratico di Macron ci sono state grandi manifestazioni. In Grecia ci sono stati tre scioperi generali, in Spagna si è in piazza per la sanità pubblica. Manca solo l’Italia, una responsabilità ce l’hanno anche i sindacati-soprattutto quelli maggioritari-che non hanno messo al centro della loro strategia la necessità di costruire mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici per un’agenda sindacale e politica ampia.