Crisi Credit Suisse. Le autorità di regolamentazione svizzere hanno confermato la disponibilità all’apertura di una linea di credito nei confronti di Credit Suisse Groupe AG, scongiurando così l’ipotesi fallimento in caso di richiesta di iniezione di liquidità. Si tratta di una mossa senza precedenti da parte di una banca centrale che cerca di ristabilire un nuovo equilibrio dopo una giornata estremamente tesa sui mercati globali. Il suo destino era già sotto la lente d’ingrandimento nazionale da diversi mesi, e appariva piuttosto buio, almeno fino a ieri. In questo modo Credit Suisse diventa la prima banca di importanza sistemica globale a ricevere una linea di salvataggio su misura.
In tarda serata è arrivato il comunicato congiunto dell’autorità di regolamentazione finanziaria svizzera (FINMA) e della banca centrale svizzera, particolarmente atteso dagli investitori. Determinanti si sono rivelate anche le consultazioni con il governo centrale, che ha messo immediatamente sul piatto più opzioni di sostegno.
Altre mosse potenziali suggerite per il suo futuro che erano circolate paventavano una fusione con il suo più grande concorrente svizzero, UBS Group AG. Alla base dell’esposizione dell’istituto elvetico il “no” del principale azionista, la Saudi National Bank, ad agire con un aumento di capitale in caso di necessità.
Crisi Credit Suisse e il mercoledì nero: il titolo crolla in Borsa
Tra le indiscrezioni circolate nella giornata di ieri, ricca di fibrillazione dopo il crac della Silicon Valley Bank, anche quella secondo cui un governo europeo (l’ipotesi più accreditata è che fosse quello britannico) avrebbe messo pressione alle autorità svizzere affinché la situazione fosse tamponata il più rapidamente possibile.
Ieri le azioni di Credit Suisse hanno perso il 30,8% in Borsa facendo crollare l’indice bancario europeo SX7P del 7% e quasi tutti i listini europei (con Milano maglia nera a -4,68%). Bruciati complessivamente 27 miliardi di euro da Piazza Affari.
La Bce ha intanto dato mandato alle banche di tutta Europa affinché sia comunicata la loro esposizione nei confronti di Credit Suisse. Un assegno in bianco che a molti ha ricordato il motto di Mario Draghi “whatever it takes” pronunciato durante il suo mandato da presidente della Bce nel tentativo di salvare l’euro dalla crisi finanziaria del 2008. Uno scenario che però oggi non è più possibile, poiché l’inversione di tendenza legata ai tassi d’interesse crescenti dovuti all’inflazione non consente di stampare liberamente moneta come avvenuto allora. Di conseguenza, molte aziende bancarie che agivano sul filo del rasoio nella valutazione dei rischi si sono ritrovate piuttosto vulnerabili.
Nelle prime ore di giovedì, Credit Suisse ha pubblicato sui propri profili un comunicato in cui dichiara di voler intraprendere “un’azione decisiva” per rafforzare la propria liquidità, esercitando l’opzione di prendere in prestito dalla Banca Nazionale Svizzera fino a 50 miliardi di franchi svizzeri (54 miliardi di dollari). L’istituto, nel frattempo, deve ancora portare avanti la ristrutturazione radicale che ha intrapreso in ottobre per ripristinare la redditività. Per alleggerire il carico, l’ente ha abbandonato l’investment banking e il trading di titoli concentrandosi esclusivamente sulla gestione del denaro. Tuttavia, molti clienti hanno preferito trasferire i loro depositi altrove poiché insospettiti dal forte clima di scetticismo che gravava intorno all’istituto bancario.