Lampedusa è il primo lembo d’Italia che mi migranti spesso incrociano. Ed è tristemente famosa per la tragedia – la più grande del XXI secolo per quanto riguarda le morti in mare di migranti – di quel lontano 3 ottobre 2013, quando morirono 368 persone. Enzo, un pescatore dell’isola siciliana, racconta a Tag24 con voce spezzata la Lampedusa di ieri e di oggi.

Quel 3 ottobre del 2013, lei lo ricorda bene. Fu uno di quelli che accorse quando il barcone si era rovesciato

“Quando rientriamo in porto dobbiamo avvisare la capitaneria, ma quella mattina ci dissero di non andare in quella zona, ma non sapevamo perché. Ci hanno ordinato di non andare lì e quindi siamo andati da un’altra parte. Ancora non sapevamo cosa fosse successo. Poi ci è stata data la notizia e siamo andati a vedere. Erano le 9 di mattina. Quando siamo arrivati nei pressi dell’Isola dei Conigli, le persone sopravvissute erano state già tutte caricate. In acqua c’erano solo cadaveri. Poi siamo tornati di nuovo a lavorare. Ma ne vediamo tante in mare, di queste barchine piene di gente. È pericoloso avvicinarle, perché quando vedono un peschereccio, la gente è tanta e se si sposta tutta su un lato, col rischio di far capovolgere la barca. È pericoloso per loro.

Oggi qual è la situazione a Lampedusa?

“Le cose ora sono cambiate, non è più come prima. Noi non possiamo più interagire con loro, non possiamo fare più nulla. Ci limitiamo solo andare al molo Favarolo insieme alla Caritas. Sono numeri e basta, è così da 4 o 5 anni. Come arrivano li caricano e li mettono sui pullman e li trasportano al centro. Li ammassano là. E poi li smistano come pacchi Amazon. Dentro il centro è invivibile, come fanno non lo so. È invivibile. Ci sono fogne a cielo aperto, non hanno dove mettersi. Provano sotto gli alberi, sotto qualche muretto oppure si fanno qualche accampamento con i sacchi della spazzatura”.

E i soccorsi che partono da Lampedusa per salvare i migranti?

“Le motovedette sembrano tante, ma sono poche. Se arrivano 14-15 barchini come si fa? È la cosa più grave è che lasciano le barchine alla deriva. Questo è un pericolo per noi. Sono barchine fantasma. Il pericolo è che di notte navighi e non le vedi. Noi vediamo solo quelle che arrivano, però ogni tanto il mare rilascia qualcosa e noi qualcosa ogni tanto prendiamo. Ogni tanto qualche corpo lo troviamo. Se non intero, qualche parte la troviamo. È insostenibile”.

Come fate a uscire in mare sapendo quello che è successo e quello che continua a succedere?

“È il nostro lavoro, dobbiamo uscire. Noi dobbiamo lavorare, certo siamo messi in condizioni un po’ critiche. La cosa più triste è che per noi ormai è la normalità. Non è più un’emergenza, sono 30 anni che succedono questi fatti. Ormai è normale. Io gli darei tutto, ma non posso fare niente. Non ti fai domande su chi sono o chi non sono. In mare non c’è gente cattiva, in mare la gente va salvata”.

E sull’isola?

“Prima uscivano, li vedevi in paese, si avvicinavano alla parrocchia, noi facevamo la raccolta di indumenti. Facevamo passare qualche giorno più tranquillo alle mamme e ai loro bambini. Invece adesso arrivano e partono. Noi quello che potevamo fare, facevamo. Alcuni li guardi e hanno gli occhi nel vuoto, gli dai acqua o té e loro ti guardano e non riescono nemmeno a reagire. Il mare è brutto, poi ance da dove vengono. Vengono dai lager, aspettano mesi e mesi sull’altra sponda. E poi la traversata. Ne abbiamo viste, di cicatrici. Le ragazze arrivano quasi tutte violentano e diffidano anche di noi”.

Migranti a Lampedusa: “Oggi i morti sono la normalità”

Lei ne ha avuto mai qualcuno a cena, quando poteva?

“Per casa mia, quando potevamo fare qualcosa, ho comprato un tavolo di 24 posti. Di notte facevamo il latte e il tè caldo. Nella stessa tavola si siedevano persone provenienti dalla Costa D’Avorio, siriani, eritrei o egiziani. Li facevano sentire a casa loro, potevano guardare la TV sul divano. Non ho nessuna barriera. Quando arrivavano, siccome sono curioso, guardavo con Google Earth da dove arrivavano. Quando vedevano la loro casa, li guardavo negli occhi, dai loro occhi uscivano le lacrime. I loro affetti li avevano lasciati là.

Come vi sentite voi lampedusani, ora che non potete fare nulla?

“Ne soffriamo di questo, che non possiamo fare nulla. Sappiamo che ci sono tanti bambini, bambine e ragazze madri. Già dall’inizio dell’anno sono morte una 90ina di persone. Anche bambini di 5 o 6 mesi. Quello che a Cutro vivono adesso, noi lo viviamo tutti giorni. Abbiamo un muro dell’impotenza davanti, non possiamo fare niente. E loro sanno quello che succede, ma non si fa niente. Ne sono morti di bambini in questo inverno. A Lampedusa se ci sono 2 bambini migranti morti, è la normalità”.